Mi sono rifiutato di scrivere post contenenti la cronaca delle ultime tre serate del Festival di Sanremo perchè principalmente disgustato dalla conduzione e dei bassi livelli dello stesso.
Nonostante tutto, munito di gusto masochistico e attrazione-repulsione verso questo grande evento tutto italiano, ho seguito quasi attentamente tutto lo svolgimento della manifestazione, che chiamare canora mi sembra riduttivo e in parte offensivo per i veri spettacoli di musica (ho cambiato canale solo quando c’erano i soliti idioti, al secondo balletto della foca di Papaleo [che non fosse un velato inno alla f_ca?], ed ero tentato all’ultimo intervento di Celentano!).
Ormai da qualche anno a questa parte, da quando in parole povere Pippo Baudo ha cessato di interessarsene, sappiamo che il Festival della canzone italiana si è configurato sempre più come un show d’intrattenimento, dove i rumors sull’ospite internazionale di turno hanno preso a interessare più dei contenuti delle canzoni.
Ma questo possiamo anche perdonarlo, se il tutto venisse diretto, condotto e strutturato in maniera dignitosa.
Già nel passato, ma ancora di più in quello di quest anno, la mediocrità ha fatto da padrona sul palco dell’Ariston.
Gianni Morandi non sa condurre nè presentare, ammesso che ci sia differenza; non sa andare avanti senza gobbo; non sa scegliere i concorrenti; non sa coprire gli spazi morti; non sa accogliere gli ospiti internazionali (come cazzo fai a rivolgerti con Signora Smith alla dea del rock mondiale?); non è simpatico; ma è popolare, populista, poco schierato, col viso dolce che piace alle casalinghe, opportunista, viscido, affetto da satiriasi, balbuziente, instabile e goffo. E credetemi non sto esagerando.
Rocco Papaleo: lo credevo molto più intelligente. Se quello che ha portato avanti è un personaggio si è dimostrato doppiamente stupido e asservito. Di certo più simpatico di Morandi, ma da qui a dire che è stato brillante, come ho letto in alcuni articoli, mi pare proprio un’iperbole. Sempre in sella agli stereotipi, niente di nuovo giunge dai suoi monologhi, insensato il ballo della foca.
Ivanka Mrazova, bella (ma se ne trovavano di meglio, anche in Italia) e inutile, ma non mi aspettavo niente di diverso. Si continua a mandare un messaggio ai giovani, e alle giovani soprattutto, che col proprio corpo si può arrivare lontano (in più a sentire Ennio MorricIone mi viene da piangere!).
Geppi Cucciari: l’unica voce fuori dal coro di tutto il festival. Lo avrei senza dubbio fatto condurre a lei, tra quelli che si sono avvincendati in questi giorni. Ha detto tante verità, in maniera velata e ironica, ma ovviamente si è dovuta contenere. Molta di questa ironia il povero Gianni non l’ha colta. Sobria, elegante, intelligente, arguta, anche lei non brillantissima, ma senza dubbio la migliore.
Celentano: non capisco come non sia stato possibile fermare tutti quei contestatori che lo hanno interrotto, chi per moralismo bigotto, chi per aver notato un’inversione di rotta nelle sue parole, chi per aver notato la mancanza di nesso nel suo discorso; hanno gridato per 5 sere di fila, abbassando notevolmente la soglia della credibilità della kermesse (che già di suo!). Sta di fatto che avrei gridato anch’io ieri. Ammantato di misticismo e credendosi un messia, il “predicatore” (come è stato negativamente apostrofato dal pubblico!) ha dimenticato i reali problemi del paese, che non possono risolversi con interventi divini. Avrebbe potuto davvero dare una svegliata a tanti telespettatori medi, che in lui vedono ancora una divinità, ma ha ribadito quello che la chiesa da secoli ci propina e che è una delle maggiori cause del nostro mancato sviluppo, economico, civile, mentale e sociale.
Ultima critica: nella coreografia di apertura dell’ultima serata quello che doveva essere un inno all’amore si è trasformato in una sfilza di baci eterosessuali, perpetuando un tacito lavaggio del cervello che attua la Rai e la società intera da anni: per loro gli omosessuali non esistono (anche se fin quando vengono i soliti idioti a fare del presunto umorismo tutto è lecito e si dà per scontata l’esistenza della categoria, sempre dopo mezzanotte però; quando si dovrebbe parlare dell’amore, il più puro e universale dei sentimenti, in quel caso gli omosessuali non vengono nemmeno citati! Questa mediocrità e ristrettezza della televisione e della mentalità italiana è anche d’ascrivere allo strapotere della chiesa, che Celentano ha finto di criticare!)
Cesso con le polemiche di questo mio lunghissimo e indignato post e passo alla musica.
La serata dei duetti internazionali è stata strepitosa, forse la migliore del festival. La nota dolente è stato l’ingresso di Macy Gray, visibilmente strafatte e/o ubriaca che ha distrutto, complici uno stonatissimo D’Alessio e una ormai andata Bertè, il pezzo più famoso di Mia Martini.
Notevoli sono state l’esibizioni di Patti Smith e di Brian May, cariche di senso, di brividi, di emozione e compostezza. E il mediocre popolo italiano ha infatti subito eliminato i cantanti a cui loro erano stata accoppiati, la Fornaciari e i Marlene Kuntz. La serata dei duetti con artisti italiani è stata anche piacevole, ma non strepitosa.
Nel corso delle serate ho apprezzato la voce di Noemi e in parte anche la canzone, quella di Carone/Dalla, che per me meritava di vincere (ma cantare l’amore per una prostituta forse in Italia è ancora troppo scioccante!) delicata, intensa, emozionante e quella di Renga seppure non originale; Arisa mi ha incantato con la sua voce melodiosa, ma la canzone non meritava (prenditi un Aulin se stai così male!); Emma sa cantare, il motivetto della canzone mi piace (sono maledettamente attratto dal pop merdoso!) ma il tema impegnato che ha voluto presentare sarebbe stato meglio strutturato in un tema di un bambino delle medie; in confronto a Emma la pure banale canzone di Doncenera assume connotati filosofici. Comunque entrambe hanno voce da vendere. La Zilli mi piace, ma mi è sembrata completamente anonima in questo festival (rappresenterà l’Italia all’Eurovision!). Finardi, crepuscolare, tenero, ma ormai fuori luogo in una cosa come è Sanremo oggi. Bersani, per quanto scriva bene, ha portato avanti un motivetto alle mie orecchie fastidioso (avrà voluto rendere sonora la mediocrità della realtà in cui viviamo?); a lui va il premio della critica “Mia Martini”.
Tra i giovani ovviamente ha vinto quello più vicino ai mediocri gusti delle quindicenni e più vicino a un concorrente qualsiasi uscito da un talent-show (infatti viene dalla mediasettiana “Io canto”), Alessandro Casillo, con una canzone nemmeno degna di menzione.
Per me il vincitore non solo dei giovani ma in assoluto del festival sarebbe dovuto essere Marco Guazzone, e lo ribadisco. Originale, delicato, timido, innovativo, bravo, che si affida solo alla sua voce, al piano, a You tube e confida nell’amore. E infatti vince il premio
Assomusic, già vinto in precedenza da Arisa, Nina Zilli e Gualazzi. Ecco i suoi contatti, seguitelo ne vale la pena (
My Space, Facebook e
You Tube).
Tutto il resto è noia e mediocrità. Specchio di una società italiana maschilista, che veicola la mercificazione del corpo femminile, ignora la presenza dell’omosessualità considerata ancora un tabù, basata ancora sui dettami della chiesa, dallo scarso gusto e scarsa erudizione musicale, dalla povera vena poetica.
La canzone vincitrice tenta di ribellarsi a tutte queste cose, ma lo fa in maniera troppo elementare e a tratti imbarazzante. Però lo fa nell’unico modo che il pubblico medio e mediocre può comprendere.
(Accenno solo velocemente che è la terza Amica che vince un festival nel giro di pochi anni, a dimostrazione dei tentacoli di Maria/Mediaset e della popolarità, meglio del provincialismo, del pubblico italiano, sempre poco aperto al nuovo).
Se l’intento di Mazzi (dimessosi appena la Rai lo ha ripreso) e Morandi era portare avanti un Festival di respiro internazionale, questo è miseramente fallito. Siamo rimasti ancora più ancorati alla mediocrità, alla provincia, alla grettezza, all’ottusità, allo stantio, ai luoghi comuni, ai tabù.
E tutti quelli che ci hanno visto, in Europa e nel mondo, non possono fare a meno di pensarlo.