Che La grande bellezza sia un film di notevole spessore è fuor di dubbio. Meritata la vittoria del Golden Globe, succeduta al trionfo degli Efa (European Film Awards) poco più di un mese fa, il film di Sorrentino corre dritto verso il la notte del 2 marzo, quella degli Oscar.
Giustamente.
Il regista commosso, durante la consegna del premio, ha affermato “Grazie Italia, paese ben strano ma bellissimo“.

E di questa stranezza certo si sono accorti recensori nostrani ed esteri. A nessuno è sfuggita la magistrale regia, la fotografia evocativa e a tratti surreale, lo splendore di una Roma che si dirige verso il decadentismo, i dialoghi vuoti che spesso cozzano con una sovrabbondanza visiva. Un ritratto di una capitale stupefacente, ma apatica, moderna ma stantia, funestata dai problemi che da sempre l’attanagliano e che fanno da feroce contrasto.

Mafia, chiesa, droga, sesso, chirurgia estetica; smania di apparire, inconsistenza dell’essere, regalità decadute, soubrette dimenticate, cardinali in limousine, scrittori falliti.

Il NULLA davanti agli occhi di Jep Gambardella (un inarrivabile Servillo), circondato da altri falliti come lui. Il New York Times ha definito questo film come “metafora del declino italiano“. E questa è l’unica verità.

Vien fuori un’Italia esausta, decrepita, macabra, a tratti schifosa. Un’Italia che non sa che farsene della sua bellezza. Forse non la merita.

Orgoglio per Sorrentino, un italiano. 
Ma noi possiamo essere orgogliosi di essere italiani?
Lui la vive dall’esterno la sua terra e la mostra così com’è.
Che questo film ci serva per aprire gli occhi. Per apprezzare davvero la nostra bellezza.

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