[continua da Gaepanz in un salotto aristocratico (scritto nella lingua di Balzac) #1]

Vengo introdotto alle persone più disparate, note in società, ma a me piuttosto oscure: il commendatore Da Blableis, la moglie del produttore Pippolud, la donna liftata che non riesce più a vedere perché gli zigomi sono saliti troppo in su e gli ostacolano la visuale (un po’ come certi paraocchi dei cavalli da calesse); la rispettabile coppia di sensibili e delicati signori che tutti sanno ma nessuno dice; la cantante, nuovo astro nascente della lirica internazionale; poi il signore col parrucchino e le basette rossastre; infine qualcuno che con l’aria smarrita salta da un capannello a un altro per cercare d’inserirsi in conversazione da troppo tempo ormai avviate.

A un certo punto dalla cucina una signora, con la tinta non ripassata di recente, avanza instabile sui tacchi e con una bottiglia in mano, si dirige nel salottino buono a cercare il suo bicchiere. Non trovandolo si apparta in un angolo e beve discretamente dalla bottiglia, credendo di non essere vista. Io non avvezzo a cotanta alta borghesia credo bene di dover ripassare il mio manuale di bon ton una volta rincasato.

I presenti la guardano imbarazzati ma continuano nei loro discorsi ampollosi quanto vacui: “Assolutamente… io detesto gli e-book… a me piace sentire l’odore della carta, assaporarne la fragranza, perdermi tra le pagine dei libri…” faceva una donna in carne. “Ma smettiamola con questo romanticismo da due soldi… quello di cui la società ha bisogno è uno sguardo più illuminista… E poi il contenuto che conta non il contenitore!” ribatte un signore con un baffetto alla Hitler. Queste e altre futilità continuavano ad aleggiare nell’aria.

L’apparente tranquillità viene interrotta quando sentiamo degli acuti provenire dall’altra stanza, per cui ci spostiamo per capire di cosa si tratti. Gli habitué dei salotti aristocratici sanno che è la volta del siparietto del soprano Stella Atomìs. Quando la ex gloria del Teatro Alla Scala alzava un po’ il gomito iniziava a raccontare orgogliosa del suo debutto con la Divina Maria Callas. Quella sera stava, però, raccontando di una volta che era in macchina con la Callas e che stavano per schiantarsi contro un camion. La Divina era al lato passeggero e lei guidava. Quando videro il veicolo andargli addosso non poterono fare a meno di cacciare un forte urlo “UUUUUU”, dice elevando al cielo un acuto fortissimo che fa tremare i lampadari con tutti i pendagli di cristallo. Per fortuna che la Callas era una donna pronta e con uno scatto afferrò il volante e sterzò di colpo, evitando così l’impatto che sarebbe stato fatale. Uscirono illese da questo episodio. Mi-ra-co-lo-sa-men-te.

Tutti i presenti godevano nel vedere la vecchia soprano ridotta in quello stato, ubriaca marcia, raccontare aneddoti dalla dubbia autenticità. Mentre raccontava l’Atomis stringeva un piccolo chihuahua al seno, che all’acuto sconsiderato della padrona, balza in terra urtando il tavolino al centro della sala e rovesciando calici e vassoi.
Il panico era bello che scatenato: la cantante urla verso il cagnetto “Vieni qUUUIII!”, “Vieni qUUUIII!”, senza curarsi dell’oscillazione dei pendagli. I signori delicati portano la mano davanti alla bocca e gli occhi al lampadario; la dama liftata resta impassibile seppur terrorizzata e l’alcolizzata nell’angolo approfitta del marasma generale per scolarsi il fondo della bottiglia.

Arriva il rubicondo ospite e si mette le mani tra i capelli, anzi in testa, vista la sua calvizie. Nota che una bottiglia intera di Balanzòn del ’74 è stata rovesciata su un prezioso persiano Isfahan, così manda tutti a casa, con sonori battiti di mani e urletti esasperati che ricordavano quelli della Atomìs, ponendo fine alla feste in onore di San’Eligio di Noyon.
Per fortuna il garzoncello del laboratorio si offre di restare per dare una mano e il il nostro ospite dimentica di buon grado il tappeto e la bottiglia andata sprecata.

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