Ho scritto pure #Sanremo2015 – Prima serata: il compitino ben confezionato di Conti
Per le vicissitudini della vita Sanremo 2015 l’ho visto un po’ a saltelli e spezzoni, ma non mi ci è voluto molto ad arrivare alla degna e perentoria conclusione: questo è stato il festival della rottamazione.
Un festival che avremmo potuto trovare uguale anche nel 75 o nel 68. Un festival che non ha la pretesa di educare o fare riflettere, come quelli di Fazio, né di risultare inconsapevolmente ma smaccatemente volgare, come quelli di Morandi.
Conti ha preso l’esperienza baudiana, unica e sola, l’ha miscelata con Tale e quale show e i Migliori anni, ha eliminato tutto ciò che non fosse competizione e lo ha porto ai suoi fedelissimi seguaci, un popolo ultra cinquantenne, poco esigente, mediamente istruito, che aveva come unico scopo quello di piazzarsi davanti al teleschermo e dimenticarsi delle asperità della vita.
Il Volo, i tre tenorini vincitori sfornati da mamma Rai-Clerici, sono stati il coronamento perfetto di questa edizione. La canzone vincitrice sarebbe stata antica anche se l’avesse portata Claudio Villa nel 55, ma di certo piace a nonni, mamme e zie che sono convinti che quello è il made in Italy da esportare. Nella conferenza stampa finale i tre spocchiosi tenori hanno parlato di quanto fosse importante questa vittoria in Italia, paese che amano, ribadendo e sbattendoci in faccia il fatto che, ahìloro, sono sempre all’estero. Che darei io per duettare con Barbra!
Le altre canzoni non male, ma niente di che, come tutto il festival d’altronde. Malika meritava la vittoria, vorrei ribadirlo. Anche la scelta dei cantanti se ci fate caso ha un po’ il sapore della rottamazione: Nek, Grignani, Irene Grandi, Raf, Masini, tutta gente che proviene direttamente dagli anni 90 e che comunque non ha mai vinto un festival (a parte Masini che ha partecipato ben 6 volte vincendone una, ma non imparando nel frattempo a tener bene un microfono!)
Unica nota positiva: quest’anno i giovani si esibiscono in primissima serata (ma forse era meglio se li lasciavano a notte fonda).
Poi ci sono i comici su cui sarebbe facile sparare a zero. A parte l’esibizione di Virginia Raffaele, che è comunque risultata vagamente ripetitiva, io ho visto ironia inesistente ma solo grandi battute mediocri su luoghi comuni e sempliciotterie. Non ultimo Panariello che eri sera ha dato prova di essersi ormai arreso alla vita. Un’imitazione di Renato Zero identica a quelle che faceva 10 anni fa a Torno sabato, battutacce sull’aspetto fisico delle ministre passate e presenti, e costanti richiami alla figa o alle virtù teologali della nostra grande madre chiesa.
Sotto l’egida della DC e della dottrina ecclesiastica abbiamo avuto la famiglia più numerosa d’Italia, il medico che aiuta i poveri, i vecchi sposati da 65 anni e una drag queen relegata a mezzanotte inoltrata e chiamata col suo nome di battesimo. Questa era la via da seguire e Conti lo ha fatto nel più professionale e rapido dei modi.
Niente spazio alle domande né alla riflessione anche con gli ospiti. A parte la tanto inutile e sbandierata reùnion tra Albano e Romina, il resto degli ospiti che si è avvicendato sul palco dell’Ariston è stato trattato allo stesso modo.
Che fosse Will Smith, Charlize Theron, il ragazzo affetto da progenie, Nibali o il medico scampato all’ebola, le domande erano sempre uguali, sempre le stesse, sempre inutili. Tante occasioni perse, quasi delle palle al piede, queste interviste, da levarsi il prima possibile per tornare alla gara.
Le vallette, che dire. Il momento più alto di tutto il festival secondo me è stato la show di Arisa anestetizzata (e la successiva esibizione formidabile di Annalisa, con Ti sento). Per il resto le tre donne oggetto, sono tornate a essere delle vallette dei tempi di Baudo, senza possibilità di fare una battuta o di esprimere pareri. Da questo punto di vista la conduzione Fazio-Littizzetto fu la più azzeccata nella parità di genere. Ma in Italia siamo ancora lontani da tutto questo.
Il momento certamente più imbarazzante per loro tre è stato la lettura di una lettera a Carlo Conti, con la quale hanno omaggiato il signorotto e hanno palesato il loro ruolo di subalternità nei confronti dell’uomo-robot-presentatore (che anche in questa occasione non ha lasciato trasparire la ben che minima emozione).
Il momento certamente più imbarazzante per loro tre è stato la lettura di una lettera a Carlo Conti, con la quale hanno omaggiato il signorotto e hanno palesato il loro ruolo di subalternità nei confronti dell’uomo-robot-presentatore (che anche in questa occasione non ha lasciato trasparire la ben che minima emozione).
Insomma un compitino ben fatto, che ha reso fiera mamma Rai, il suo pubblico cattolico e ben pensante, e coloro che credono che quella de Il Volo sia lirica ergo musica pù alta, di qualità e che ci fa onore nel mondo. Più o meno è la stessa logica che ha portato personaggi come Romina e Albano, Umberto Tozzi o Toto Cutugno a scalare tutte le classifiche del Tergikistan.