PREMESSA

Ho iniziato a scrivere questo post diverse volte, completando, cancellando, dosando le parole, finendo poi per metterlo sempre in bozza. Ma credo che per il lavoro che faccio abbia, al meno in parte, l’obbligo morale di fare ordine su alcune cose successe nel mio paese, Soveria Mannelli, negli ultimi tempi. Non vuole essere per nessun motivo un’analisi politica, ma con questo post voglio toccare solo aspetti che hanno a che fare con il mio lavoro, che quindi conosco bene, per condividere parte di quella mia conoscenza con chi si è trovato dall’oggi al domani catapultato nel mondo dei social, del digitale e della comunicazione sul web. Post mosso per altro da un viscerale amore per il mio paese.

Ho visto l’uso che molti dei miei compaesani fanno di Facebook – rientrando a pieno titolo in una folta schiera nazionale di analfabeti digitali – che a lungo andare può essere pericoloso perché ci si costruisce una realtà di valori e fatti alternativa e parallela.

La foto è ovviamente una mia opera d’arte e di fantasia 

INTRODUZIONE

Premessa doverosa per i non soveritani (ma forse anche per qualche soveritano smemorato): c’è a Soveria Mannelli, una lunga tradizione di pratiche di comunicazione volte a richiamare l’attenzione sul paese. Nella stragrande maggioranza dei casi queste pratiche si sono limitate all’annuncio in pompa magna di qualcosa che di magno in realtà ha davvero poco. Altre volte, per fortuna, all’annuncio hanno corrisposto anche fatti di degni di nota.
Tra i primi possiamo annoverare in ordine sparso: il busto di Garibaldi che versa copiose lacrime, la visita in grande stile di Carlo di Borbone (pretendente al trono del Regno delle Due Sicilie), le olive autoctone mandate in dono per la cena dell’ultimo dell’anno a Barack Obama (seppur a 800 m.s.l. di ulivi non se ne vedano), il battesimo di una strada “Via col Vento“, l’offerta di ospitalità a Saddam Hussein per il suo esilio. Fino alla richiesta fatta pervenire a Microsoft affinché non correggesse in automatico Soveria in Soneria sul celeberrimo programma di videoscrittura Word (figuratevi se tutti i paesi del mondo chiedessero la stessa cosa). Insomma allegre trovate pubblicitarie volte ad accendere i riflettori sul paesino pre-silano, destinato poi a tornare nell’ombra, tra le spallucce e i sorrisetti degli addetti ai lavori. Niente di male, per carità, se restano tali. Il problema si verifica quando c’è qualche sprovveduto che comincia a crederci per davvero, facendo prendere avvio da quelle trovate una narrazione parallela del paese.

Ma andiamo con ordine.

DAL LOCALE AL GENERALE

Il meccanismo tecnico è molto semplice e sta alla base della comunicazione giornalistica. La notizia (o la non-notizia) viene messa per iscritto in un comunicato stampa inviato a giornalisti, redazioni, contatti fidati. La pubblicazione e diffusione della stessa avviene per diversi motivi:

  1. la notizia è interessante, quindi il giornalista approfondisce, le redazioni mandano inviati o troupe, oppure si fanno interviste telefoniche;
  2. la notizia è provocatoria/curiosa, quindi può essere molto letta e di conseguenza capace di generare vendite di giornali, click sui siti, punti di share in più, o di rappresentare una fonte per altri media;
  3. la notizia non interessa a nessuno ma il giornalista la pubblica per amicizia verso chi gliel’ha fornita, perché ne ha un proprio tornaconto o perché il contenuto è sponsorizzato, ergo a pagamento. 
Funziona così da molto tempo. Nell’era pre-web la suddetta notizia poteva essere letta da quei pochi acquirenti dei giornali o vista al tg da coloro che in quell’esatto momento erano sintonizzati su quella rete. E poi si diffondeva tramite passaparola, per morire nel giro di qualche settimana.
L’avvento del web ha colto molti impreparati a una diffusione così massiccia delle notizie. Inoltre essendo altamente (fin troppo) democratico, il web dà a tutti la possibilità di scrivere notizie, post, articoli. Come per esempio sto facendo io in questo momento. L’unica garanzia di affidabilità che abbiamo è verificare la notizia che stiamo leggendo anche su altri siti, cercando di risalire a fonti attendibili e/o ufficiali. Anche dare un occhio alla data di pubblicazione non guasta. Certo viene istintivo quando siamo su Facebook e troviamo una notizia che rientra nel nostro sistema di valori, esimerci dal condividerla all’istante. Ma forse un’analisi più approfondita nel senso che ho appena descritto potrebbe aiutarci a non diffondere notizie inesatte, false o bufale.
Quando una non-notizia o una bufala inizia a diffondersi farla rientrare o smentirla è quasi impossibile. C’è chi dice: “che vuoi che sia? Solo una svista, un errore!”, ma purtroppo gli effetti della diffusione di notizie false generano strani comportamenti nella società, che possono declinarsi in teorie contro la scienza e la medicina (portando anche alla morte di persone che si sono affidate alle bufale), oppure possono far salire al potere personaggi discutibili (la campagna elettorale di Trump, in America, è stata basata su una massiccia dose di notizie false, volte a screditare l’avversario o a mistificare la realtà). Senza dimenticare che sulla comunicazione hanno basato la propria ascesa la maggior parte dei regimi totalitari del XX secolo. Certo, ora sto portando il ragionamento alle sue estreme conseguenze, ma se la storia ci ha insegnato qualcosa è sempre bene tenerlo a mente.
Non apro qui il discorso sull’affidabilità dei giornali più venduti d’Italia perché non ne uscirei (ci sono quelli troppo di parte, quelli che agiscono in mala fede, quelli che si reggono solo su redazioni di stagisti sottopagati e inesperti), ma posso darvi certamente una lista di siti che fabbricano bufale e fungono da esca per naviganti distratti (in gergo si chiama clickbaiting, esca per i clic) usando titoli e url della testata leggermente modificati. C’è da ammettere che i nomi di questi sitacci sono quanto meno spassosi: Il Corriere della Pera, Rebbublica.it, Il Giomale, Il Fatto Quotidaino, Liberogiornale e chissà quanti non ne conosco.
Qui sotto un esempio a cui hanno abboccato migliaia di analfabeti digitali:
DAL GENERALE AL LOCALE
In un piccolo paese come Soveria sembra valere un po’ l’imperativo di Oscar Wilde: “Bene o male purché se ne parli“. E lo capisco, perché spesso in passato ho subito anch’io il fascino di abitare in un paese sempre sulla bocca di tutti. Poi però ti accorgi che quel carrozzone mediatico costruisce la narrazione di un paese che non è del tutto, o per nulla, come lo si racconta.
Il caso della foto del panorama innevato norvegese apparsa sul Corriere con la didascalia “scattata a Soveria Mannelli” è stato un po’ la summa della questione. Vi rimando a un post che ho scritto su Facebook (e questo di una ragazza attenta) poiché la storia di fatto mi ha già annoiato perché priva di sostanza. Più sostanziosi invece altri due articoli apparsi a breve distanza l’uno dall’altro: uno su La Stampa e uno niente poco di meno che sul New York Times (di fatto una traduzione di quello de La Stampa); fino a un servizio sul Tg2 Storie Sostanziosi perché parlano di alcune realtà fiore all’occhiello del nostro paese e su questo nessuno credo abbia nulla da obiettare. Meno sostanziosi perché narrano una Soveria di 10 o 15 anni fa, enumerando iniziative e primati degli anni duemila. Lodevoli certo, allora, ma forse non dopo tutto questo tempo. Credo che i primati (non le scimmie), per considerarli ancora tali, andrebbero mantenuti. Allora viene da chiedersi: “Negli ultimi 15 anni non è successo niente degno di nota?”, o ancora “Perché se è una città ideale in cui vivere, centinaia di giovani lavorano, studiano o si sono stabiliti lontani da Soveria?”. E ancora l’affermazione “Il posto pubblico qui non è una priorità. La maggior parte dei cittadini lavora nel privato, è capitato anche che al concorso per due vigili urbani si riesca a coprire un unico posto” mi fa pensare che forse sia io che, come tanti, me ne sono andato, sia tutti i giovani disoccupati di Soveria, siamo degli sciocchi a non aver saputo cogliere le opportunità.
Non credo che farsi queste domande significhi voler affossare il proprio paese natale o non voler gioire nel vederlo campeggiare sui quotidiani nazionali e internazionali. Il legame che mi tiene incollato a Soveria è lo stesso che mi porta a scrivere questo articolo oggi. 
Io vorrei gioire, lo giuro, ma non riesco proprio ad abboccare a facili esche. Perché il paese l’ho vissuto fino a poco tempo fa e lo conosco. E se leggo un articolo e ci trovo foto o informazioni diverse dalla realtà, allora la cosa mi ferisce. Perché vuol dire che preferiamo raccontarci – amministratori e cittadini – qualcosa di diverso dalla realtà. Vuol dire che vorremmo vivere nel paese che viene raccontato sui giornali e non in quello fatto di muri scrostati e vinelle che profumano di storia. Vuol dire che siamo disposti a credere che a Soveria ci siano i laghi e si producano olive, piuttosto che ammettere che non vediamo un progetto di speranza per il posto in cui siamo nati.

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