Si è laureato al DAMS con una tesi su Nanni Moretti e dal giorno seguente si è messo a scrivere, pubblicando dopo un anno Stalin + Bianca per Tunué. Aveva capito di volere fare lo scrittore già a 18 anni, leggendo Wallace, Ellis, Palahniuk, De Lillo e poi i classici che aveva odiato a scuola. «Anch’io voglio avere il potere di fare stare bene o male le persone con le parole». Lo scorso dicembre un suo racconto è stato pubblicato per “McSweeney’s”, la rivista letteraria di Dave Eggers, ed è piaciuto a Jovanotti che gliene ha chiesto un altro per la sua rivista “SBAM!”. Il suo secondo libro Le stelle cadranno tutte insieme è uscito a marzo per Fandango.
Incontro Iacopo Barison, 29 anni, in un posto che fa cocktail creativi nel quartiere Isola di Milano, anche se lui è astemio. Mentre ordina un’acqua tonica gli chiedo se ha scelto di vivere in questa zona perché affascinato dalla sua gentrificazione (ormai per indicare un quartiere popolare che diventa di tendenza bisogna dire così, facciamocene una ragione) o perché artisti, scrittori e aspiranti tali sono obbligati a eleggerla come domicilio. Ride e mi confessa di aver trovato un bilocale a un ottimo prezzo. Faccio finta di dargli credito, mentre noto il suono aperto della sua “O”, alla torinese.
Il tuo secondo libro sta facendo molto parlare di sé anche perché tu ti spendi tantissimo, in prima persona, per la sua promozione. Sai che questo fa un po’ storcere il naso ai puristi dell’ambiente?
Questo libro mi è costato un anno intero di fatica, è normale che voglia portarlo in giro il più possibile, sento la responsabilità di tenerlo vivo. L’autopromozione è vista male solo in Italia perché è come se si volesse rubare il posto a qualcuno. Quando ho proposto il mio racconto in America a «McSweeney’s» sono rimasti colpiti dal mio entusiasmo e poi lo hanno voluto perché gli è piaciuto, anche se per loro ero uno sconosciuto. Su quella rivista non ci pubblicano proprio degli idioti. Per promuovere Le stelle ho contattato solo persone e realtà con cui mi sarebbe piaciuto collaborare e quasi tutti hanno accolto volentieri il mio invito, quindi non è che sia considerato così scandaloso.
Il risvolto della copertina recita “il primo ritratto veramente lucido della generazione millennial”: non è un po’ presuntuoso?
Più che presuntuoso direi azzardato, perché raccontare una generazione in cui rientrano i nati tra il 1984 e il 1999 non è facile. L’editore ha avuto subito chiaro che raccontando me stesso ero riuscito a parlare dei miei coetanei. Io solo quando mi sono arrivate valanghe di messaggi di quanti si sono riconosciuti in quelle dinamiche. Descrivere una generazione alla fine significa raccontare l’acqua dell’acquario.