Anche quest’anno l’Italia (nonostante la recessione), l’Europa (nonostante gli euroscettici) et il mondo intiero (nonostante il sovranismo) si fermano per una settimana con gli occhi puntati sul Festivàl di Sanremo, edizione 69. E anche quest’anno, come negli ultimi due lustri, andrò farfugliando che a me la kermesse interessa solo come fenomeno sociologico, per comprendere dove sta veramente andando il Paese, nulla di più. E voi anche quest’anno fingerete di darmi credito e sopporterete le mie cronache, serata dopo serata.
La nuova mamma Rai gialloverde ordina al Baglioni bis di tenere i migranti fuori dal palco del Teatro Ariston. Ma Claudio Senza Frontiere Baglioni, sprezzante del pericolo, aggira con astuzia i divieti ordinando ai suoi sottoposti di piazzare ovunque riferimenti alle onde del mare. Così nella scenografia appaiono marosi agitati, evidente pubblicità occulta alle ONG, negli stacchetti di presentazione di ogni canzone si ode lo sciabordio delle onde e perfino nel logo della Edizione 69 piazza un movimento marino che lui spaccia per Yin e Yang. Anche se tutti noi sappiamo che il 69 significa solo una cosa, ma siamo ancora in fascia protetta.
Così si apre la prima serata del Festival di Sanremo 2019, sprezzante dei divieti del nuovo corso sovranista. Baglioni e i suoi co-conduttori Virgina Raffaele e Claudio Bisio scendono insieme le scale, mano nella mano, per non fare torto a nessun genere sessuale, né per discriminare chi non porta i capelli. Bisogna stare attenti ormai a questo tipo di cose. Ma in men che non si dica il mistico Renato Zero, come l’anno scorso, s’impossessa di pater Baglioni, il quale inizia a blaterare un monologo nonsense da cui riusciamo solo a carpire “un viaggio verso la simmetria, la musica è armonia, c’è bisogno di sintonia, viva il ministro Tria“. Solo un caso? Io non credo proprio.
RENGA
Dice che è l’ottava volta che partecipa al Festival, porta una canzone dal titolo Aspetto che torni. Ma noi pensiamo che sia anche arrivato il momento di dire basta. Francè, impara da Irene Fornaciari che dopo aver partecipato per quattro o cinque anni di fila ed essere arrivata ultima ha capito l’antifona. A proposito: qualcuno ha sue notizie?
NINO D’ANGELO E LIVIO CORI
Il buon vecchio Nino ci appare come un incrocio tra un venditore di rose molesto e un fruttivendolo ubriaco di San Giovanni a Teduccio. E tu Livio Cori, cori ingrato, che pena devi scontare per aver accettato una cosa del genere?
NEK
Guardando questo cinquantenne dimenarsi con aria da rocker sul palco di Sanremo mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e una frase che le mie compagne delle medie scrivevano sui diari: “Larghi maglioni, stretti pantaloni, questa è la vita dei ragazzi boni“. E nemmeno la canzone mi pare proprio da buttare.
ZEN CIRCUS
Porte aperte, porti chiusi, testo sublime in cui è evidente lo zampino anti-governativo baglioniano. Ma siamo tutti d’accordo che se uno va a Sanremo poi cessa di essere indie, no?
Claudio Bisio e Virginia Raffaele tra una canzone e l’altra s’inceppano, fanno gag miserevoli e si parlano uno sull’altra: qualcuno mi può spiegare com’è possibile che i comici quando salgono sul palco dell’Ariston acquisiscono l’ironia della Ministra Giulia Bongiorno? Ma non siamo nemmeno a metà serata e un LASCIAMOLI LAVORARE glielo dobbiamo concedere (nonostante, sotto sotto, spero che Virginia si metta al più presto in testa una parrucca rossa e inizi a imitare Ornella Vanoni).
IL VOLO
Accolti da un fragoroso boato, i tre tenoreros portano una canzone del Notre Dame de Paris di Cocciante. All’acuto finale, uomini e donne sgocciolano.
LOREDANA BERTÈ
Loredanona si presenta come Gina Lollobrigida nei panni della Fata turchina in coda per Quota100, munita di mini-borsetta dove riporre la mini-pensione. Cerca svariate volte di prendere qualche nota giusta e di sollevarsi la gonna per far prendere aria al grillo parlante. Apprezziamo la sua modernità: rispetto a quella de Il Volo la sua canzone è futurismo puro.
Per portare avanti la strenua opposizione al regime giallo-verde Baglioni sfodera l’artiglieria pesante. Lui e Andrea Bocelli si esibiscono sulle note di un celebre inno agli scafisti, Il mare calmo della sera, che presto diventa uno tsunami visto che nessuno dei due becca una nota. Una semplice coincidenza? Io non credo proprio. In loro soccorso giunge sul palco Matteo Bocelli e il padre Andrea si toglie il giacchetto, con con cui 25 anni prima si era esibito su quel palco, e lo fa indossare al giovane e tornito Bocelli junior affinché possa portargli fortuna. E tutti noi facciamo finta di credere che il ragazzo farà strada grazie a quel chiodo in pelle che ha un quarto di secolo.
DANIELE SILVESTRI E RANCORE
Un altro che col tempo è invecchiato bene come il vino, porta una canzone parecchio impegnata su un adolescente intrappolato nel suo mondo. Lui canta con Rancore e noi ascoltiamo con benevolenza. E intanto il Silvestri si becca un endorsment cardinalizio.
Anche Bisio prova a dare una bordata al Governo, ma non appare chiaro quale circonvoluzione abbia seguito per arrivare a collegare Passerotto non andare via ai migranti. E mi sovvien l’eterno e il monologo di Favino dell’anno scorso (che infatti arriva subito dopo facendo apparire Bisio come un cacciucco). Non pago, Bisio ha poi invitato i giornalisti a smetterla di fare polemica e per un attimo ho temuto li apostrofasse “pennivendoli e prostitute”.
FEDERICA CARTA E SHADE
Senza farlo apposta lei si è avvolta nell’involucro di un uovo di Pasqua e insieme all’altro che porta il nome di un deodorante per ambienti ha confezionato una canzoncina scialba, ideale per una brutta fiction italiana sugli adolescenti.
Durante la pubblicità riflettiamo che ormai Mina lavora solo una settimana all’anno, quella del Festival, di cui la TIM è main sponsor.
ULTIMO
E con quella canzone rischia davvero di arrivarci.
Claudio Bisio e Virginia Raffaele continuano imperterriti a fare brutte gag. Baglioni giustamente si sfila non appena ne ha l’occasione, nonostante lui sia molto più sciolto di loro due che di mestiere dovrebbero fare ridere. E in fondo continuo a sperare che Virginia si sieda su un poltrona di legno e cominci a strappare libri come Michela Murgia. Ma nonostante tutto invoco ancora un garantista LASCIAMOLI LAVORARE.
PAOLA TURCI
Consueta verve da rockettara, consueto spacco inter-mammellare. Le corde vocali però è il caso di controllarsele prima di Sanremo.
MOTTA
Non è che brilli proprio per intonazione, ma sappiamo bene che esserne privi è la conditio sine qua non per essere definiti indie. La canzone non mi sembra male, ma improvvisamente mi viene voglia di un Maxibon e non capisco più niente.
BOOMDABASH
Chi ha sentito l’esigenza di portare sti Fort Apache de lu Salentu? Chi?
PATTY PRAVO E BRIGA
Escono sul palco ma la musica non parte. Vengono annunciati di nuovo ma la musica non parte ancora. Forse perché Nicoletta si è presentata agghindata come Anna Oxa dopo aver fatto una comparsa in Avatar e nessuno l’ha riconosciuta. Il momento più divertente della serata e ho detto tutto.
SIMONE CRISTICCHI
Stavo ancora ridendo per la capigliatura della strega di Narnia della Patty nazionale, quindi non ho capito niente. So solo che anche lui si è beccato il placet di sua eminenza (ma farà figo?).
Per sentire qualcuno intonato bisogna aspettare l’ospitata di Giorgia. Quando però fa Whitney, mi sovvien l’eterno e il ricordo di lei in persona su quel palco non molti anni fa. E ora il massimo dell’ospite straniero che possiamo permetterci è un karaoke. Maledetti sovranisti identitari.
ACHILLE LAURO
Si augura di fare la fine di Jimi Hendrix, Amy Winehouse e Jim Morrison, ma qualcosa mi dice che vivrà ancora a lungo.
ARISA
Vestita come una volontaria dell’Unitalsi, fuori di testa come un Pillon, sfodera la sua voce strabiliante e il suo rimpianto caschetto corvino. E poi fa la magia: la ballad che tutti si aspettavano da lei si trasforma ben presto in una formidabile (e difficilissima) canzone di Glee che risuonerà nelle discoteche gay da qui alla fine della razza umana. Il più gradito shock della serata.
NEGRITA
C’ho messo svariati minuti per capire che non era Enrico Ruggeri a cantare.
Sull’omaggio al Quartetto Cetra insieme a Claudio Santamaria mi piacerebbe solo dire LASCIAMOLI LAVORARE, ma per farmi venire un sorriso, durante quella interminabile performance, ho dovuto più volte pensare a Loredana Berté che si dà delle arie alla Quota 100.
GHEMON
Rimettetelo nella sua sfera pokè, per carità di Dio.
EINAR
Canta “scrivere l’amore con parole nuove“, ma ha ritenuto che questo non fosse il momento giusto. Vecchio quasi quanto il primo nome della Rai.
EX-OTAGO
All’una meno venti sto pensando solo che è quasi ora di mangiare di nuovo.
ANNA TATANGELO
Perché quella ragazza di periferia ha dovuto oltraggiare così il titolo di un romanzo di Kent Haruf? Annarè, pensaci, smetti di lavorare, ormai c’è pure il reddito di cittadinanza. Chi te lo fa fare?
IRAMA
Nemmeno un coro gospel ci può convincere che la storia di una ragazzina violata sia accettabile all’una di notte.
ENRICO NIGIOTTI
Ci sta provando in ogni modo, con ogni talent o palco. Così tenta anche la svolta sovranista e identitaria: “Si parla più l’inglese che i dialetti nostri“, recita la sua canzone. Magari è davvero la volta buona, visto che il figlio rapper di Travaglio è stato scelto – tra i tanti s’immagina – per comporre la sigla del nuovo programma “Popolo sovrano” della Rai 2 giallo-verde. (Una coincidenza, io non credo?)
MAHMOOD
Stima per essersi esibito senza stonare alle prime luci dell’alba e per aver fatto battere le mani a tempo ai coristi.
Si conclude mestamente questa prima serata del Festivàl di Sanremo. Nessun momento esilarante, nessun tentato suicidio in eurovisione. Ma questo non deve sorprendere più di tanto dal momento in cui la povertà è stata abolita e quindi nessuno soffre più la fame per mancanza di lavoro. Bisio non è nemmeno in grado di mandare degnamente la sigla di chiusura. Anni di dure maratone sanremesi, però, mi hanno abituato ad aspettare almeno la seconda serata per gridare al fallimento. I ragazzi ieri sera si sono solo scaldati, fidatevi. Per cui invoco un ennesimo LASCIAMOLI LAVORARE seppur, a pensarci bene, l’ultima volta che abbiamo lasciato lavorare qualcuno siamo finiti in recessione in una manciata di mesi.
Leggi tutte le cronache di Sanremo 2019.