Nessuna serie negli ultimi tempi mi ha strappato il cuore com’è stata in grado di fare After Life, la dramedy britannica scritta, diretta, prodotta e interpretata dallo straordinario Ricky Gervais e distribuita da Netflix (in quel maremagnum a cercar bene si trovano anche delle perle). Tony è un giornalista di provincia, di mezza età e sovrappeso, incazzato nero con il mondo. E lo è a buon diritto perché ha perso la cosa più bella che aveva, sua moglie. Voi come reagireste se la persona con cui avete trascorso quasi tutta la vita, con cui passavate il tempo a ridere come adolescenti, da cui tornavate ogni sera felici al solo pensiero di rivederla, morisse? Ecco, Tony reagisce nel modo peggiore possibile (ma poi, chi siamo a noi per stabilire com’è lecito affrontare un dolore così grande?): offende e minaccia chiunque intralcia il proprio cammino perché è convinto di non aver più nulla da perdere. Tanto se le cose dovessero mettersi ancora più male gli resta sempre il suicidio, dice.
Passa così le giornate a struggersi dietro ai video che la moglie gli ha lasciato prima di morire, senza però capire come mettere in pratica le sue raccomandazioni a prendersi cura di se stesso. Tony così occupa il tempo entrando e uscendo dalla redazione (il direttore del giornale è suo cognato, costantemente in apprensione per lui), andando nella casa di riposo dov’è ricoverato suo padre affetto da demenza, confidandosi con lo psicologo, portando a passeggio il cane, insultando il postino, acquistando droghe, passando al cimitero davanti alla lapide di sua moglie.
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