Su come siano andate esattamente le cose quella notte tra il 27 e il 28 giugno 1969 allo Stonewall Inn non c’è alcuna certezza, nemmeno a 50 anni di distanza. Racconti, film e aneddoti hanno spesso rimescolato le carte: c’è chi narra di drag queen e transessuali incazzati neri, di bottiglie di vetro e tacchi a spillo lanciati contro gli agenti, di lesbiche ammanettate e giovani gay manganellati. Così come c’è chi ha provato a inserirsi in una vicenda in cui non aveva avuto alcun ruolo.
Ci sono alcuni punti fermi sui fatti di quella notte e delle altre cinque notti a seguire, passati alla storia come moti di Stonewall. Lo Stonewall Inn era un piccolo locale, in Christopher Street nel Greenwich Village di New York, frequentato principalmente da gay, trans, lesbiche e drag queen. Nel 2016 Obama lo ha dichiarato monumento nazionale, ma in quegli anni era principalmente il ritrovo della comunità omosessuale, composta in larga parte da ragazze e ragazzi cacciati di casa dalle rispettive famiglie. L’omosessualità era illegale in quasi tutti gli Stati Uniti. Frequenti erano le irruzioni della polizia nel locale, così come le derisioni, le perquisizioni, le umiliazioni e gli arresti che ne seguivano. Quella notte però la comunità, stanca di patire in silenzio, rispose all’ennesima retata – camuffata da controllo per la licenza di vendita degli alcolici – con la violenza. La bottiglia lanciata dalla transgender Sylvia Rivera contro gli agenti è entrata nella leggenda. In poco tempo una folla inferocita si radunò fuori dal locale, la polizia e pochi clienti rimasero asserragliati dentro. Accorsero altri agenti in tenuta antisommossa e lo Stonewall Inn si trasformò presto in uno scenario di guerra: lanci di mattoni e bottiglie, manganelli, corpo a corpo, feriti, urla. Gli scontri durarono fino alle prime luci dell’alba e continuarono a intermittenza per altre cinque notti.
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