Immaginate un’enorme multinazionale che domina il mercato della vendita al dettaglio e possiede magazzini sparsi in tutto il mondo da cui si può ordinare qualsiasi prodotto. Cosa vi ricorda? Ecco, ora immaginate che il suo fondatore abbia creato delle cittadelle per i dipendenti nelle immediate vicinanze dei magazzini, comprensive di ospedale e supermercato, così che i lavoratori non siano costretti a spostarsi per raggiungere il posto di lavoro. Comodo, si sarebbe portati a pensare a primo impatto. Fino a quando non si scopre che ogni lavoratore è costretto a indossare un orologio che tiene conto dei suoi spostamenti e delle sue performance, manovrato da un algoritmo affinché risulti altamente produttivo. Questa è la macchina infernale in cui è ambientato The warehouse, l’ultimo libro di Rob Hart appena pubblicato in Italia da Dea Planeta nella traduzione di Carlo Prosperi.

Rob Hart - Foto di Anna Ty Bergman
Rob Hart – Foto di Anna Ty Bergman

Capelli e baffi biondi, curatissimi, occhiali trasparenti, camicia stampata che lascia scoperti i tatuaggi colorati sulle braccia. Rob Hart, 37 anni, vive a New York dove ha lavorato nel mondo dell’editoria digitale e come consigliere comunale. Decide di scrivere questo thriller (semi) distopico dopo aver letto la storia di Maria Fernandes, una lavoratrice precaria che per racimolare 550 dollari per pagarsi l’affitto in uno scantinato nel New Jersey, era costretta a turni massacranti in diversi punti vendita della catena Dunkin’ Donuts. La donna muore asfissiata dai fumi della benzina della sua stessa auto in cui stava dormendo tra un turno e l’altro.

«È assurdo pensare che quell’anno l’amministratore delegato di quell’azienda guadagnava 10 milioni di dollari. A chi servono davvero 10 milioni di dollari?» si chiede lo scrittore. Maria Fernandes ha dato un volto umano alla storia che Hart aveva in mente, per questo le ha dedicato il libro. «Dobbiamo ripensare tutto il sistema di retribuzione dei dirigenti, ma questa in fondo è l’anima del capitalismo che per sopravvivere deve pagare poco i lavoratori per far guadagnare pochi».

Credi che il tuo sia davvero un romanzo distopico o piuttosto tragicamente attuale?
Ho sempre delle difficoltà ad accettare le classificazioni di genere. Per me era molto importante che l’ambientazione fosse realistica e familiare, per questo ho cercato di ridimensionarmi quando stavo diventando troppo fantasioso o fantascientifico. L’orologio che monitora gli spostamenti dei dipendenti va in questa direzione, non è molto difficile da immaginare. E poi in fondo per comprendere tutta l’ultima narrativa distopica, da The Handmaid’s Tale ad Hunger Games, basta mettersi difronte allo specchio senza troppi sforzi immaginativi.

In The Warehouse dopo i massacri del Black Friday i cittadini hanno paura di acquistare nei negozi fisici, facendo la fortuna del colosso online: si tratta solo di un espediente narrativo o t’ispiri a un evento reale?
Non so bene come la viviate voi qui in Europa, ma in America i Black Friday stanno diventando alquanto spaventosi: le persone si calpestano all’apertura dei cancelli, si camminano una sull’altra, finiscono in ospedale, per uno sconto di 10 dollari magari. A questo si aggiungono altri due grossi problemi, l’impennata di vendita delle armi in quel giorno e il fatto che molti datori di lavoro stanno costringendo i propri dipendenti a fermarsi di più la sera prima per i preparativi, strappandoli dalle loro famiglie riunite per festeggiare il Thanksgiving.

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