Euphoria è un riformatorio glitterato

Droghe, prostituzione, omicidi, stupri e violenze si cedono il passo in quasi tutti i teen drama degli ultimi anni – 13Sex EducationThe end of the f**g worldEliteBaby – tanto che se questa è la realtà dovremmo triplicare i fondi ai servizi sociali un po’ in tutto il mondo. L’ultima in ordine di tempo è Euphoria, creata da Sam Levinson e prodotta da HBO (visibile su Now Tv), presentata come “la serie che racconta gli adolescenti di oggi”, refrain che suona immutato dai tempi di Beverly Hills 90210. Euphoria ruota intorno alla storia di Rue (la sorprendente Zendaya, di casa Disney), ragazzina affetta da ricorrenti crisi di disagio serie tv psichico, che diventa una tossicodipendente dopo la morte del padre. Di droga se ne vede tanta, insieme ai suoi effetti psichedelici e distruttivi, ma non è tutto. La scuola di Rue è popolata da una schiera di ragazzi con una mole di problemi così grossi che più che un liceo sembra un riformatorio.

Da una parte si ha la sensazione di trovarsi di fronte a temi e cliché generazionali, fin troppo abusati, appiccicati dagli adulti addosso ai ragazzi della generazione Z: non se ne può più di giocatori di football e cheerleader, di popolari e sfigati, di prom e di feste nelle case bene quando i genitori sono “via per il weekend” (ma la generazione Z non era quella rinchiusa in camera attaccata agli smartphone? E ancora: ma davvero ci sono genitori così stupidi in the iuessei?). Resistono le immarcescibili tipizzazioni della fauna scolastica, riscritte con l’occhio nuovo dell’era post #metoo e gender fluidity, che è un segnale di modernità ma di poco appeal narrativo se si cade nell’intento didattico. Quindi abbiamo il bonazzo arrogante e violento che però è velatamente attratto dai peni (Sex Education è arrivata prima); la bonazza non particolarmente brillante (toh, una novità!) che gli sbava dietro nonostante lui le metta le mani addosso; quella che resta incinta e va ad abortire (ormai tappa obbligata).

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