Ed eccoci ancora qui, dopo un altro anno, più vecchi e più saggi, davanti al Festivàl della Canzone Italiana, edizione 70, o come è stato battezzato quest’anno in un guizzo di creatività incontenibile, Sanremo ventiventi. Le labbra di Alba Parietti in prima fila, i capelli e la barba disciplinati di Beppe Vessicchio, la temuta scalinata da cui, più o meno velatamente, ognuno di noi confida nel capitombolo, la buca dell’orchestra, i fiori: Sanremo è una di quelle certezze intramontabili che ci ricordano che siamo vivi e fieri italiani, e non si sa cosa sia peggio. Come previsto, nessun tentato suicidio in diretta per la mancanza di lavoro: dopo quasi due anni ancora fulgidi gli effetti dell’abolizione della povertà.
Il conduttore di Sanremo ventiventi, Amedeo Umberto Rita Sebastiani, in arte Amadeus, si fa giustamente precedere da un attempato Fiorello nella speranza di fare il pieno di telespettatori. Poi, con un’idea scenicamente pazzesca e inedita, entra, schiocca le dita e si illumina la scenografia del Teatro Ariston, causandomi la stessa emozione che provavo nelle notti di Pasqua quando veniva calato il telo rosso che celava la statua del Cristo Risorto.
Amadeus è rassicurante, spontaneo, leggermente goffo; è il genero che ogni signora del sud si augurerebbe per se stessa, mica per la figlia; è il postino che ti consegna i pacchi sbagliati ma con quel sorriso umile che non ti ci puoi incazzare; è quel cugino più grande di dieci anni ma che ti fa ancora il solletico nonostante tu abbia superato i quaranta; è quel presentatore capace di condurre con la stessa verve i pacchi, gli ignoti, l’eredità, festivalbar, Sanremo: come un Carlo Conti qualsiasi, ma con più calore umano. Infatti si è sposato la Scossa, al secolo Giovanna Civitillo, con cui ha fatto subito un profilo Instagram di coppia. Amadeus insomma è così: semplice dolce e magico. Uno che ci racconta commosso di quando è partito per Milano in cerca di fortuna, e la mamma lo salutava piangendo fuori dal treno – e noi che siamo ragazzi sentimentali ci commuoviamo pure – e poi ci delizia anche col balletto della Tim.
Sempre nell’ottica di puntare sugli ascolti, Amedeo sceglie di partire dalle Nuove proposte. Gli
Eugenio in Via di Gioia sfidano
Tecla – una specie di Santa Maria Goretti con una canzone intitolata “8 marzo” e per questo scritta da due uomini (al momento se si cerca Tecla Insolia su Wikipedia esce “Spiacenti, questa pagina è stata cancellata recentemente (nelle ultime 24 ore)”) – ma perdono e cambiano il nome in Eugenio Mai Na Gioia. Poi il bravissimo
Fadi (
ma sono di parte), uno che scrive versi come “Chiedilo ad Andrea che si è perso, è ancora lì nel centro che cerca un senso”, viene battuto da uno come
Leo Gassman che scrive “non accetti l’errore, ti rovini l’umore” e che a X-Factor diceva che avrebbe rinunciato al suo cognome per essere samplicemante e solamante e finalmante Leo. Vedo infatti.
Dopo di che fanno entrare Tiziano Ferro, ospite fisso di tutte e cinque le serate – altra idea rivoluzionaria di questo Sanremo ventiventi – palesemente senza voce e sul mio divano ci si domanda come riuscirà ad arrivare a sabato. Il buon Amedeo dichiara che la gara può avere inizio e io sollevo lo sguardo verso l’orologio che segna già le dieci. Il nuovo direttore di Rai Uno, Stefano Coletta, apprezza.
IRENE GRANDI
Irenona nostra fa ancora la rocker convinta nonostante evidenti problemi di deambulazione. E nonostante Vasco. Con piglio deciso pronuncia il verso “Se vuoi fare sesso, facciamolo adesso”: lo dicevo io che quest’anno si respira rivoluzione.
MARCO MASINI
Dopo aver abbassato la serranda del suo Barber Shop, disciplinato, il nostro Marco, si posiziona al piano e noi speriamo fino alla fine che non prenda il microfono in mano perché, diciamocelo, non sa proprio tenerlo. Ma è tutto inutile.
RITA PAVONE
La piccola Gian Burrasca, a 74 anni, scende le scale con maggior disinvoltura di Irenona e si dimostra anche molto più rock di lei, nonostante da sovranista convinta abbia dovuto fare i conti con un direttore d’orchestra di nome F. Castro.
ACHILLE LAURO
Achille Lannister, riccamente ammantato, si spoglia francescanamente a metà della sua canzone restando nudo come un verme Gucci e scandalizzando le signore del Sud che vorrebbero Amadeus come genero.
DIODATO
Di Diodato mi sono innamorato, anche se fisicamente comincia a somigliare a Liam Gallagher.
A un certo punto viene presentato e calorosamente accolto Beppe Vessicchio, ma la scena è subito rubata da Malgioglio, dietro al maestro, appollaiato sulla poltrona come il Pinguino di Batman.
LE VIBRAZIONI
Ancora turbato dalla visione di Malgioglio non capisco niente della canzone delle Vibrazioni, se non che c’è un ragozzotto aitante che traduce nella lingua dei segni, che mi viene voglia di impararla.
Ancora rivoluzione, ancora innovazione sul palco dell’Ariston. Viene annunciata Romina Carrisi (chiiii?) ad annunciare i suoi genitori, Albano e Romina Power, i quali scendono le scale separati e schifati come se fossero appena usciti dall’ufficio dell’avvocato divorzista. La signora Power dice “Viè qua Albà, damme la mano, facciamo sta sceneggiata”, e lui dice “Noooooooo” con un acuto, allora lei col suo SuperPower gli lancia la maledizione:
Provano a cantare Nostalgia canaglia ma il microfono della Super Power risulta spento. Intanto il nuovo direttore apprezza lo spettacolo.
Ma la scena è di nuovo rubata da Malgioglio – autore del nuovo pezzo di Albano e Romina, primo inedito dopo 25 anni, revolutiòn – che, meglio della Madonna di Medjugorje fa tornare la voce a SuperPower grazie ai potenti mezzi del playback. In prima fila, Giovanna Civitillo in Sebastiani è molto emozionata.
ANASTASIO
Il giovane rapper si precipita trafelato sul palco di Sanremo dopo aver staccato dall’ospedale, dove ha finito il turno da OSS.
Tiziano torna sul palco e dopo Volare porta un altro pezzo mai sentito a Sanremo, Almeno tu nell’universo. Verso la fine, sensibilmente in difficoltà, comincia a mandare baci al cielo e a piangere. Mi viene il dubbio che gli sia apparso Malgioglio con una corona di stelle in testa, invece è solo che non gli bastava la voce per andare avanti e ha finto estrema commozione.
Diletta Leotta fa tutto un discorso circonvoluto sulla bellezza, le marmellate, il tempo, rivolta alla nonna che si è portata in sala a forza e che infatti l’ascolta imbalsamata come Andreotti nello studio di Paola Perego.
ELODIE
Si ok, gliel’ha scritta Mahmood, ma io giuro che non ho capito quando la canzone è iniziata e quando è finita.
Rula Jebreal fa un intenso e personale monologo sulla violenza sulle donne, a tratti eccessivamente crudo per quel palco. Cita versi di Battiato, De Gregori, Vasco aggiungendo che ha scelto di proposito canzoni scritte da uomini, per dimostrare che è possibile, per uno uomo, parlare di donne usando le parole giuste. Ad Amedeo, dietro le quinte, balla l’occhio e si alza il sopracciglio come durante il famoso affaire “per me è la cipolla”.
BUGO & MORGAN
Ci deliziano con una canzone intelligente e azzeccata, che ovviamente la giuria demoscopica fa precipitare in fondo alla classifica provvisoria. Notiamo che da quando Morgan è diventato un clochard avra pure perso la casa, ma ha riacquisito un quarto della sua voce.
Emma viene condotta da Amadeus a cantare fuori dall’Ariston, in piazza, e anche questa cosa è presentata come “la prima volta in assoluto”, “unica”.
ALBERTO URSO
Non ci bastavano i tre del Volo, avevamo bisogno di un altro curioso caso di Benjamin Button che canta con una voce semi impostata quella che è ufficialmente la canzone più brutta della serata.
RIKI
Qui devo essermi appisolato dieci minuti.
RAPHAEL GUALAZZI
Mi ridesto e mi trovo davanti a un imbolsito Elton John seduto al piano. Poi realizzo che è quel buontempone di Gualazzi e, come sempre quando lo vedo, mi viene una gran voglia di andare a mbriacarmi con lui.
Si spengono le luci sulla prima serata del
Festivàl. Amadeus, in fondo, è tornato a casa senza dimenticarsi niente delle cose segnate sulla lista delle spesa da Giovanna Civitillo in Sebastiani, la donna più odiata da tutte le signore del Sud con figlie in età da marito. Se siete arrivati fino a qui vuol dire che mi volete un po’ di bene, quindi v’invito spassionatamente a lasciarmi un commento entusiastico su Facebook. A stasera.