Quello che c’è da fare

Attraverso il cancello facendo attenzione a non scivolare sulle foglie bagnate dalla pioggia caduta nella notte. Il cielo sopra la Garbatella si sta aprendo, regalando alla città i tipici colori delle ottobrate romane. Poco distante dalla fermata della metro B, si staglia imponente un anonimo stabile residenziale. Tre scale, una decina di piani, per un totale di novantaquattro appartamenti.

Ogni mattina la sveglia di Gianluigi Bruni suona alle sette meno un quarto. Dopo un caffè fumante e rapide abluzioni, Bruni apre il cancello del palazzo alle sette e trenta in punto. Con passo deciso, si dirige all’ultimo piano di una delle tre scale per passare scopa e straccio, gradino per gradino, fino al piano terra. Non sono bravo in matematica, ma suppongo che nei suoi venti cinque anni di servizio avrà lustrato migliaia di scalini e pianerottoli. Ogni giorno si dedica a una scala diversa, che se dovesse farle tutte e tre in un solo giorno non basterebbero ventiquattr’ore. Anche perché alle nove deve aprire la portineria, al pianterreno della scala A, per accogliere corrieri e postini. Smista la posta nelle cassette di ogni famiglia, lettera per lettera, con un movimento delle mani rapido ma accurato. Poi lo aspettano gli androni e il cortile da spazzare, così come le scale d’ingresso e la rampa per i disabili, le vetrate da lucidare. Mezzogiorno e mezzo arriva presto, quando finalmente Bruni, il portinaio, può ritirarsi nelle sue stanze e riposare per qualche ora.

La guardiola è per lo più un ripostiglio per le scope, dove entra a fatica una piccola scrivania illuminata dalla porta a vetri che dà sul cortile. Completano l’arredamento una bacheca traboccante di mazzi di chiavi e un grosso contatore elettrico. Se un giorno ne avesse voglia, Bruni potrebbe togliere la corrente a tutti gli inquilini in un colpo solo. Dirimpetto all’ingresso della portineria, un’altra porta conduce direttamente al disimpegno dell’appartamento che il custode divide con la moglie. “Dal primo di ottobre ho preso un congedo per assisterla perché non sta molto bene”, mi dice con voce malinconica. “Accomodati pure, fai solo attenzione al gradino” aggiunge subito dopo, come a chiudere un discorso che farebbe fatica ad approfondire. Fa uno strano effetto passare in meno di due secondi dal luogo di lavoro al proprio domicilio. L’appartamento si sviluppa su un livello leggermente inferiore al piano terra. Le finestre sono infatti posizionate un po’ più in alto del normale. Attraversiamo il corridoio, superando, alla nostra sinistra, stanza da letto, cucina e bagno, e ci accomodiamo nel salotto in fondo all’appartamento. Lui si adagia su quella che ha tutta l’aria essere la sua poltrona, per la facilità con cui trova la posizione più volte collaudata. Due lampade e un abat jour illuminano la stanza rendendola calda e accogliente. Alle spalle di Bruni centinaia di volumi sono disposti meticolosamente in una libreria, un’altra costeggia il corridoio su tutta la sua lunghezza.

“Faccio questo lavoro dal 1995, a sessantasei anni comincio ad essere un po’ stanco. Le cinque ore della mattina sono le più dure, poi però faccio pausa da mezzogiorno e mezzo per tre ore, in cui mangio un boccone e mi riposo”. Nelle altre quattro ore che gli restano nel pomeriggio, se tutte le incombenze mattutine sono state portate a termine, Bruni può rintanarsi nella sua guardiola, condòmini permettendo. “C’è sempre chi passa e ti saluta, oppure qualcuno che chiede informazioni, però nel complesso posso disporre con agio del mio tempo nel pomeriggio. Studio, ogni tanto scrivo, per lo più leggo”. Di libri, in portineria e non, ne ha letti moltissimi. “Ho iniziato coi russi, Tolstoj e Dostoevskij, vengo da una famiglia dove tutto sommato si leggeva. Poi tutti i classici francesi, Dickens, ma i miei preferiti restano gli americani, Hemingway, Fitzgerald, Faulkner”.

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