Superiamo la diramazione centrale del carcere dell’Asinara, dove Gianmaria negli ultimi anni ha allestito un museo della memoria carceraria, raccogliendo oggetti e cimeli rimasti in ogni diramazione, ricreando ambienti e vicende dell’epoca. Continuiamo l’ascesa, attraverso strade sterrate che mi fanno rimbalzare ripetutamente la testa contro il tettuccio del fuoristrada. Gianmaria ci indica delle casupole quasi diroccate dove i detenuti addetti al pascolo, i cosiddetti sconsegnati perché non sottoposti a vigilanza stretta, trascorrevano le giornate appresso alle bestie. “Gli davamo il cibo al mattino e tornavano in cella solo la sera”. I detenuti che sceglievano di lavorare, oltre al vitto e all’alloggio, ricevevano una paga e i contributi pensionistici per l’attività svolta. Un lusso, verrebbe da dire. Il mare quasi non si vede più quando superiamo il distaccamento di Case bianche e ci addentriamo nell’Elighe Mannu, letteralmente il grande leccio, l’unico bosco superstite di tutta l’isola.
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