Per assomigliare un po’ di più alle famiglie normali, intorno ai primi anni Duemila, mio padre ci comunicò che ci avrebbe regalato un computer fisso e una linea a internet. Cosa che in realtà le altre famiglie avevano già da un pezzo, ma noi che normali non lo eravamo mai stati, non facevamo troppo caso alle tempistiche.
Quando dovevo fare delle ricerche per la scuola, come un ragazzino volenteroso del libro Cuore, attingevo ancora ai volumi dell’enciclopedia che mio padre si era comprato a rate coi primi stipendi. Nonostante fosse orgoglioso che qualcuno mettesse il naso in quei tomi mai sfogliati, ci arrivava da solo che quella pratica non era in linea coi tempi e che non mi avrebbe garantito di essere particolarmente aggiornato nei miei studi.
Era stato a causa delle sue numerose insistenze se avevo acconsentito a iscrivermi all’indirizzo sperimentale del Liceo Classico, con la matematica potenziata e le ore extra d’informatica. Così ti apri più porte mi aveva ripetuto per mesi, poco prima della scadenza delle iscrizioni, perché a lui fiero perito commerciale, questa cosa del Classico proprio non andava giù.
Quindi, adesso, si sentiva quasi in dovere di condurre me e i miei fratelli fuori dall’età della pietra tecnologica in cui eravamo rimasti a vivere.
Mia madre, dal canto suo, non cedeva alle facili lusinghe della modernità ed era certa che questa cosa del computer e di internet sarebbe stata solo un’inutile spesa.
Lei che con la matematica potenziata aveva il mio stesso rapporto tiepido, per usare un eufemismo, già stava vivendo un periodo di gran confusione con l’arrivo dell’euro perché tutto le sembrava costasse uno sproposito.
Inoltre, aveva sentito al telegiornale che col passaggio dal vecchio al nuovo millennio si sarebbero potuti bruciare tutti gli apparecchi elettronici, e a maggior ragione non le sembrava sensato spendere così tanti soldi per vederli andare in fumo.
Per settimane, io e i miei fratelli avevamo cercato di persuaderla sull’importanza di quegli strumenti per il nostro futuro, spiegandole anche che ormai ci avviavamo quasi al 2003 e i computer di tutto il mondo erano ancora vivi e vegeti. Alla fine cedette per sfinimento, e concluse dicendo che tanto lo sapeva che ci stavamo approfittando di lei perché non ci capiva niente di ‘ste cose. E a noi, tutto sommato, questa sembrava già una grande vittoria.
Davanti all’esuberanza mia e dei miei fratelli, però, all’arrivo degli scatoloni colmi di futuro la vidi sorridere. E così, sotto lo sguardo fiero di mio padre e a quello un po’ più scettico di mia madre, mi misi a installare la connessione a internet che un tecnico ci aveva collegato al telefono fisso quella mattina stessa. Toccavo cavi, cliccavo, aprivo finestre e tutto doveva apparirgli talmente esotico e misterioso che dopo dieci minuti, annoiati da quelle operazioni incomprensibili, se ne tornarono in soggiorno, convenendo che l’informatica era il futuro e che bene avevano fatto a iscrivermi all’indirizzo sperimentale del Liceo Classico.
Finalmente da solo, collegata la linea, chiusi a chiave la porta e mi preparai a cercare quello che non stava scritto nell’enciclopedia. Digitai svelto l’indirizzo zozzo che sapevo a memoria, a furia di leggerlo sui giornaletti zozzi che compravo in edicola. Le casse del pc cominciarono a gracchiare e sullo schermo apparvero le cose che volevo vedere. Si paga a consumo aveva detto il tecnico, così mi apprestai a consumare nel più breve tempo possibile.
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