L’unica volta in cui Margarita Ivanovna, emigrata russa in Germania, abbassa la guardia nei confronti degli altri emigrati come lei – solitamente guardati con sospetto e ripugnanza – fa entrare in casa quella che diventerà l’amante di suo marito Čingiz. Se ne renderà conto quando ormai è troppo tardi, perché Margo non ha tempo per badare a queste inezie visto che deve proteggere suo nipote da germi, batteri e sconosciuti dai capelli rossi. Nel poco tempo che avanza tra queste gravose occupazioni, è tutta presa a criticare gli usi e i costumi tedeschi ed elogiare quelli della Madrepatria da cui, a dirla tutta, è scappata alla ricerca di una vita migliore.
Ne La treccia della nonna, ultimo romanzo di Alina Bronsky pubblicato in Italia da Keller editore (nella traduzione di Scilla Forti), si sorride e si ride tanto. Le invettive e i ragionamenti di nonna Margo sono esilaranti, così come la resa che ne dà Max, narratore ottenne nonché suo nipote. Ma più si va avanti e più il tono della commedia si tinge di tragico, ma di un tragico dai toni pastello che sconfina in una strabordante tenerezza. Nei confronti di un nonno che esce di scena come ha vissuto, in silenzio; per una nonna che sviluppa deliri e atteggiamenti maniacali a causa di un dolore mai superato; e per un ragazzino a cui è stata celata la verità per paura di vederlo andar via, ma che nonostante tutto non smette di voler bene a quella inattendibile donna dalla treccia lunghissima.
Bronsky è nata a 1700 km da Mosca, nella città di Ekaterinburg ai piedi degli Urali e da lì si è trasferita in Germania con la sua famiglia, a metà degli anni ’80. L’abbiamo raggiunta nella sua casa di Berlino per conversare di emigrazioni e di cosa si è disposti a fare per proteggere le persone che amiamo.
Intervista ad Alina Bronsky
Nonna Margo incarna tutte le contraddizioni di una persona emigrante: denigra gli usi e i costumi del paese ospitante, ma poi fa proprie le sue tradizioni, diffida degli altri immigrati, ma è lei stessa a portarne una nella sua famiglia: Margo non è in grado di integrarsi perché non vuole o perché il sistema non glielo consente?
Non credo che possiamo spiegare e comprendere una persona come Margo in termini di libero arbitrio. Per me le sue azioni sono guidate da una miscela esplosiva di paure, desideri e continui errori di valutazione rispetto a qualsiasi situazione si trovi ad affrontare. Non c’è alcuna logica in questo. L’ultima cosa a cui dovremmo credere sono le sue stesse affermazioni perché sono per lo più l’opposto di ciò che sta realmente accadendo dentro e fuori di lei. Ma parlando dei suoi desideri, penso che voglia le stesse cose che tutti noi desideriamo dalle persone che ci stanno intorno: accettazione e rispetto.
Quanto della sua esperienza migratoria c’è in questo libro?
Quello che posso davvero dire è che conosco sicuramente persone come Margo. Ho potuto osservare donne (e uomini) con uno stato d’animo simile durante il loro processo di migrazione: alcuni falliscono amaramente, altri invece riescono a integrarsi. Li ho incontrati a casa dei miei amici o al parco giochi dove andavo con i miei figli, e ne ero affascinata e spaventata allo stesso tempo.
Che ricordi ha dei suoi primi anni in Germania?
I miei ricordi personali dei primi anni in Germania sono piuttosto diversi da quelli di Max ed è una cosa di cui sono ancora molto grata. Amavo la sensazione di essere nuova in un paese nuovo. In quegli anni ho incontrato molte persone amichevoli, ma non nego che ci siano state anche molte situazioni in cui mi sono sentita confusa e persa.
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