Il 17 giugno di 78 anni fa un paesino del Molise, anzi, la frazione di un paesino del Molise, Castelnuovo al Volturno, venne quasi completamente rasa al suolo dagli americani per girare un documentario di propaganda. Siamo nel 1944, c’è già stato l’Armistizio e gli alleati sbarcati in Sicilia stanno risalendo l’Italia per liberarla. I nazisti provano a bloccarli lungo la linea difensiva denominata Gustav che va dall’Adriatico al Tirreno passando proprio per Castelnuovo, ma senza successo. A Natale del ’43 il paesino è liberato dagli Alleati e gli abitanti nascosti nelle montagne, alla spicciolata, fanno ritorno nelle loro case. Miracolosamente tutto è ancora in piedi, pure la chiesa col campanile.
Al principio di quel giugno del 1944 alle porte dei castelnovesi si ripresentano gli americani e, con la scusa di una disinfestazione, gli fanno abbandonare le case in fretta e furia. Gli abitanti riparano sul monte di fianco a Castelnuovo e qualche giorno dopo, richiamati dal frastuono degli aerei e delle bombe, assisteranno all’abbattimento del loro paese, campanile compreso, fino a quel momento risparmiato dalla furia della guerra. Scopriranno poi che era tutta una messinscena, tutto finto, con americani travestiti da nazisti che combattevano contro americani nei panni dei liberatori. Il bombardamento era finto, le bombe erano vere: Castelnuovo è un cumulo di macerie. Nicola Feninno – peraltro direttore della rivista Ctrl Magazine e dell’omonima casa editrice Ctrl Books, nonoché cultore di reportage narrativi – racconta questa storia nel libro Una storia vera, appena uscito per l’editore Industria & Letteratura nella collana L’invisibile diretta da Martino Baldi. O meglio, incappa in questa storia mentre ne sta inseguendo un’altra (a partire da un’altra ancora) e se ne lascia ossessionare.
Curioso come l’uscita di questo libro sia coincisa proprio coi giorni in cui, in altri territori di guerra, si discuteva se i massacri compiuti dalle truppe russe fossero reali o una messa in scena degli ucraini, se non addirittura degli americani (che dalla questione del “finto” allunaggio non si sono più ripresi, ci mancava solo il “finto” bombardamento ripescato da Feninno). Per raccontare questa storia che trova casa a metà strada tra realtà e finzione, tra documento e ricamo, tra detto e non detto, l’autore si è concesso il lusso di svestire (almeno un po’) i panni del reporter e indossare (almeno un po’ di più) quelli del narratore rapito dal racconto di storie che ne generano altre. Che queste siano vere del tutto o in parte, alla fine del libro, non interessa più a nessuno. Abbiamo posto a Nicola Feninno qualche domanda per capirci qualcosa di più, ma non è detto che questo sia avvenuto veramente.
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