Si prova un misto di riverenza e fascinazione nel varcare le porte della biblioteca-studio di Umberto Eco, nell’appartamento che si affaccia sul Castello Sforzesco di Milano e che acquistò dopo il successo internazionale de Il nome della rosa.Ancor di più ad avere come guide d’eccezione la figlia Carlotta, architetta, che dalla scomparsa del padre sta cercando di dare ordine ai suoi libri, e l’editore Mario Andreose, storico curatore editoriale di Eco. Proprio di Andreose è il testo confluito nel libro Una stanza tutta per sé – Dove scrivono i grandi scrittori a cura di Alex Johnson e appena uscito per L’ippocampo.Mentre l’appartamento era in fase di costruzione, Eco chiese di rafforzare la struttura portante delle stanze che avrebbero ospitato i suoi volumi.
Quelli conservati nella biblioteca sono 30.000 e, per volontà dello stesso Eco, saranno ceduti interamente allo Stato Italiano e destinati al Centro internazionale di Stuidi Umanistici dell’Università di Bologna, dove ha a lungo insegnato. Si tratta di quella che lui chiamava la biblioteca moderna – per differenziarla dalla stanza degli antichi, che pure aveva in casa – e nella quale completavano l’arredo due sobrie scrivanie nere, una per lui e una per l’assistente segretaria.In questa stessa stanza, per volere della famiglia, Eco è stato salutato per l’ultima volta dagli amici, il 16 febbraio 2016.
Eco scriveva al computer sin dal 1980, subito dopo l’uscita de Il nome della rosa. Le apparecchiature elettroniche quindi non mancano sulla sua scrivania, rivolta alla finestra che dà sul cortile interno.La musica è il sottofondo costante delle sue sessioni di studio e di scrittura, sia nella sua casa milanese sia in quella di campagna a Monte Cerignone, dove si rifugiava ogni volta che era possibile.Rigorosamente in filodiffusione, spesso collegato a stazioni radio americane, Eco era eclettico anche dal punto di vista musicale: passava da Bach e Mozart al jazz, dalla musica barocca alla swing era.
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