Numero 2 credenze, numero 1 tavolo da pranzo allungabile con numero 6 sedie, numero 1 letto matrimoniale, numero 2 letti singoli, numero 1 letto da una piazza e mezza, numero infinito di bicchieri e tazzine, numero imprecisato di libri e quaderni scolastici e universitari, numero 1 pappagallo per impellenze notturne, numero 1 sfigmomanometro, attrezzo che non ha niente a che vedere con la sfortuna ma tutto con la misurazione della pressione.
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Da settimane sono chiuso in quello che era l’appartamento dei miei nonni paterni, per mettere ordine in mezzo secolo di vita stipata in armadi, casse e scaffali. L’idea è quella di trasformarlo in un piccolo bed and breakfast di campagna, una delle cose che ho sempre desiderato nella vita. Un posto dove accogliere visitatori, pensare ai loro bisogni, ascoltare le loro storie, fargli scoprire quella della mia famiglia e del territorio circostante. I lavori di ristrutturazione saranno impegnativi e mentre raccolgo e comparo preventivi, svuoto quelle stanze che ormai non sono più abitate da trent’anni.
Lo sapevo già e ce l’ho avuto chiaro ancora di più in questi giorni: io adoro buttare le cose. Trovo un godimento esagerato nell’indossare guanti di lattice, in alcuni casi mascherina, e differenziare in scatoloni e bustoni le cose che non servono più, gli scarti. A una coppia tunisina ho regalato alcuni mobili, un letto, molti utensili da cucina e decine di scatole di giocattoli per i loro bambini, ingannando me stesso di essere una brava persona mentre so perfettamente che il loro bisogno mi è servito per evitarmi diversi viaggi all’isola ecologica.
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Eppure andare in discarica – che sempre di un cumulo di scarti si tratta anche se le cambiamo nome – è la parte di questo processo che più mi appaga. Riempire la macchina, fare il viaggio in mezzo a quelli che sono diventati rifiuti da poche ore, parcheggiare, aprire il portabagagli e le portiere e liberarsi, uno a uno, dei grandi sacchi pesanti: carta, plastica, indifferenziata, ingombranti, materiale elettrico, vetro. Fare spazio e ordine mi regala quella illusoria sensazione di tenere la vita a bada, di domare gli eventi, di fare in modo che tutto risponda al mio controllo. E pure se sono consapevole che si tratta di un infingimento, la vista delle stanze più spoglie al mio ritorno mi regala un’inebriante sensazione di pace.
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“Controlla bene prima di buttare” – mi ha detto mia zia al telefono. “C’è gente che ha trovato buoni fruttiferi in mezzo ai libri”. Io ho sospirato pensando “seh magari”, consapevole che non avrei mai rinvenuto alcun oggetto di un valore tale da poterlo consegnare al banco dei pegni in cambio di una lauta ricompensa per poter passare il resto della vita a piantare fiori e sfornare torte per i miei ospiti.
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Qualche tesoro, però, è saltato fuori.
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