Per le vicissitudini della vita, anche quest’anno sono tornato nella terra natia in pullman. Un interminabile viaggio di 14 ore. Odissea che, puntualmente, gli autisti dell’illuminata compagnia di trasporti interregionale cercano di rendere più leggera propinando, a già nervosi viaggiatori, film di dubbio intrattenimento.
Nel 99% dei casi si tratta di un becero cinepanettone natalizio (categoria in cui per estensione faccio rientrare tutti i film dei confratelli Zalone et Soliti Idioti et gli ultimi con Raul Bova/Gassman/Bisio/Siani, che in ogni caso per me rientrano nella stessa categoria). Per cui posso considerarmi un discreto conoscitore della tipologia cinematografica.
Proprio trent’anni fa, il 23 dicembre 1983, andò in onda il primo film di questa lunga, brillante (?) e fortunata serie. Si trattava di Vacanze di Natale, destinato a incassare tre miliardi di lire al botteghino. Quel film metteva in scena maschere ed esasperazioni del borghese/parvenu degli anni Ottanta, coi suoi vizietti, con la sua ignoranza, con la sua parlata, coi suoi desideri di scalata sociale. Stereotipi, pregiudizi e modi di pensare tipicamente italiani infarcivano il tutto, insieme a culi e tette sparsi a caso.
Da allora sono passati 3 decenni, la società è mutata, le classi sociali pure, ma il modo di pensare italiota che traspare dai film resta. Anzi, in seguito all’impoverimento socio-economico e istituzionale, si è abbrutito fino all’esasperazione.Lo spettatore che andava a vedere Vacanze di Natale si riconosceva certamente in alcuni stereotipi ma sapeva di essere superiore a ciò che stava guardando.
Col passare degli anni i cinepanettoni si sono moltiplicati, i registi che hanno abbracciato il “genere” aumentati (Vanzina, Parenti e un più recente nonché odioso Brizzi), gli attori (falliti) che hanno trovato una fonte di guadagno facile triplicati (dai classici Calà, Boldi&De Sica fino agli irritanti Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio, o Zalone, re degli incassi) fino a che la società che prendevano in giro è divenuta la società stessa. Coloro che vanno a vedere il film diventano improvvisamente attori di una commedia che coincide con la vita reale. Il pubblico non ride più degli attori ma con loro, ammirandone – nemmeno troppo in segreto – la volgarità ostentata e prendendo esempio, emulandone comportamenti e modi di pensare.
Qualunquismo, populismo, omofobia, leghismo, sessismo, razzismo, faciloneria, carenze linguistiche: questi sono i regali che ci portano i cinepanettoni. La cosa più grave è che lo spettatore medio si nasconde dietro un “Lo vado a vedere per staccare la mente per due ore” o “Mi faccio solo due risate, che male c’è?”, e non sa che quella testa sarà sempre meno in grado di farla girare correttamente.
A chi risponde così dico: guardati quel piccolo gioiellino di realismo che è Parenti serpenti di Monicelli. Tanto tradimenti, ignoranza, omosessualità latente e tradizioni natalizie ce ne sono a bizzeffe, solo che trattati con classe. La differenza tra un cinepanettone alla portata di tutti e un capolavoro di semplicità divenuto un cult sta proprio in questo.
2 commenti
Troppo facile liquidare la popolarità e il pubblico del cinepanettone come 'qualunquisti, omofobi, leghisti, sessisti, razzisti' ecc. Il fenomeno e i gusti del suo pubblico sono a mio parere molto più complessi. Il cinepanettone e' una forma carnevalesca; vale a dire, il suo ricorso a un linguaggio volgare, al «corpo grottesco» (specialmente di Boldi), il mettere in ridicolo pretese culturali e il ribaltamento delle gerarchie e delle normali convezioni morali, corrispondono perfettamente alla comicità carnevalesca teorizzata dal Michail Bakhtin. Nell’elogio fatto da Bakhtin, il carnevale era un periodo di morte simbolica e rinascita durante cui l’intera comunità veniva coinvolta in un rovesciamento delle gerarchie sociali e in una temporanea sospensione dei normali codici di comportamento, una festa in cui gli appetiti, i piaceri e le necessità corporali godevano di totale indulgenza. Il cinepanettone si presta evidentemente a un’analisi in termini carnevaleschi, in quanto associato alla sospensione in tempo di festa delle norme e dei bisogni quotidiani, e al ciclo di rinnovamento sancito dalla morte dell’anno appena trascorso e dalla venuta del nuovo. Ecco, a me sembra che il piacere dato allo spettatore dai film non sia necessariamente un piacere misogino, omofobo, razzista o discriminante per gli anziani e così via. Al contrario, si può ritrovarci una spinta utopica attivata proprio grazie al godimento dei piaceri dell’evasione e della trasgressione concessi dalla forma comica.
Caro Alan,
innanzitutto grazie per esserti fermato a commentare.
Se soltanto un quarto degli spettatori si approcciasse al cinepanettone con questa consapevolezza e con questa visione distaccata dallo schermo, il titolo di questo post non sarebbe stato "Fenomenologia del cinepanettone" ma "Apologia del cinepanettone"!:-)
Purtroppo credo che nessuno dei registi in esame abbia scritto le proprie sceneggiature dopo un'analisi di Bachtin o quanto meno del famoso saggio pirandelliano del 1908. Tanto meno il pubblico in sala.
Il discorso di Bachtin può essere accolto fino a un certo punto, ed è quello che hai espresso tu; ma non ho mai visto di buon occhio la conclusione a cui arriva Bachtin, ovvero che la comunità da questo ribaltamento dei valori/ruoli ne esca fortificata e più unita che mai, consapevole che soltanto la collettività, l'unione, la facesse sentire salda e forte.
Non lo credo e non l'ho mai creduto. Il capovolgimento delle gerarchie e delle posizioni sociali, serve solo ad acuire queste differenze, seppur sotto l'apparente tautologia "siamo tutti uguali" oppure "al cesso siamo tutti gli stessi" (per citare il corpo grottesco a cui ti riferivi).
In ogni caso se volessi godermi una catarsi, un'evasione, una trasgressione in chiave comica, guarderei la vera commedie all'italiana (dai primi di Monicelli o Risi, passando anche per i primi cicli di Fantozzi), oppure mi rifarei al teatro e alla commedia dell'arte, di cui siamo stati ideatori e che spesso dimentichiamo.
Nei cinepanettoni, per concludere, vedo solo volgarità, ritornelli che diventano modi di dire nella realtà, gag ormai fiacche e ripetitive, un tripudio di stereotipi che non fanno che rinsaldare la grettezza di un popolo fermo da oltre 20 anni. Un popolo che va al cinema solo a Natale e che non conosce altri attori oltre a De Sica.