Il sabato sera era destinato al bagno settimanale, che in realtà era più una doccia in piedi nella vasca per non consumare troppa acqua calda. Seguiva il rito dell’asciugatura dei capelli, mia madre asciugava quelli di mia sorella, mio padre i miei. Immancabile la riga che mi conferiva l’aria da bravo bambino, fatta con spazzola e numerose bruciature accidentali. Avvolti nei nostri pigiami pesanti e con le guance rosse filavamo in cucina davanti a Scommettiamo che, affascinati da uomini possenti in grado di strappare con le mani centinaia di elenchi telefonici e ballerine capaci di fare innumerevoli piroette. Fabrizio Frizzi era lì, con i suoi spessi occhiali anni Novanta e la capigliatura squadrata. Milly affianco a lui, riccia e sempre conciliante. Nella sigla lui volava come un maldestro superman italiano, con in mano un portacandele a sfidare l’oscurità. Io e mia sorella la replicavamo a ogni inizio programma, poi tutti in silenzio davanti al televisore.
Fabrizio era ancora lì, settembre dopo settembre, a presentare Miss Italia e sancire la fine dell’estate. Noi sempre lì stretti intorno a qualsiasi cosa propinasse mamma Rai, ostili alle tv di Berlusconi su cui mia madre aveva imposto il veto. Fabrizio Frizzi e quelle ragazze ci risvegliavano moti di orgoglio nazionale, più delle partite dei mondiali. Potevamo tifare ma non televotare, che chissà quanto ti fanno pagare. Ricordo i sotterfugi utilizzati per votare di soppiatto la miss Sicilia del ’95, tale Anna Valle, e lo smarrimento dell’anno dopo quando a vincere fu una miss di colore. Ma in quel 1996 era nato mio fratello, per cui eravamo aperti alle novità.
Fabrizio Frizzi, anche se non si vedeva, c’era pure in quella videocassetta piratata di Toy Story dietro alla voce dello sceriffo Woody. E anche nella fiction legal-buonista in cui interpretava in prima serata un avvocato generoso e affabile, con studio e abitazione nello stesso palazzo, che finiva per innamorarsi di Debora Caprioglio. Ed era sempre lì nella nostra cucina quando conduceva, con la sciarpa al collo, le lunghe maratone di Telethon, a fare da tranquillo sottofondo alle faccende quotidiane. E poi ancora con l’Eredità e i Soliti ignoti, in tempi più recenti, ad accompagnare la preparazione della cena, gli addii e le partenze.
Rimane l’alone della sua barba, la montatura spessa e la risata a volte sincera, a volte forzata. Fabrizio resta un punto di contatto con ciò che era e non è più, con anni che sembrano lontani, con pareti che hanno cambiato forma e volti che hanno perso sostanza.