Il maestro di cerimonie - Arnon Grunberg
Non ho mai creduto a frasi del tipo “Non sono io che ho scelto questo libro, ma lui che ha scelto me!” o come “E’ capitato nel periodo giusto della mia vita“!, e invece mi sono dovuto ricredere mentre leggevo “Il maestro di cerimonie” di Arnon Grunberg, scrittore olandese di poco più di 40 anni.
Se ne stava lì, in cesto con tutti quei libri usati a metà prezzo, e mi ha fatto l’occhiolino. Giuro, non me lo sono immaginato! Dunque, se ne stava lì, impolverato, con la sua copertina di uno strano verde smorto ma nel contempo attraente. L’ho preso, ho guardato l’immagine, ho letto l’originale bio dell’autore e la quarta, e mi sono detto “Lo prendo, tanto è a metà prezzo!”, sapendo che avrebbe potuto, con ogni probabilità, appesantire la pila dei libri che mi sono ripromesso di leggere. E infatti ha preso un altro po’ di polvere nella mia libreria. Generalmente non sono troppo sperimentale e/o avventato nello scegliere i libri. Ho letto le prime pagine ma inizialmente ho provato un leggero ribrezzo misto a sdegno per la scrittura di Grunberg. 
Poi, giorni dopo, l’ho riaperto e, anche se a fatica, l’ho letto tutto.
E’ un libro mediamente pesante, con poca azione, descrizioni infinitesimali e flussi di pensieri fino allo stremo.
Ma una volta che entri nel malato mondo di Jörgen Hofmeester non riesci più a uscirne. La sua psicosi ti benda e ti tiene per mano per tutto il tempo, trascinandoti.
Il personaggio del libro non può che essere così: è stato pre-pensionato perché non ritenuto più utile nella casa editrice dove lavora; sua moglie è scappata con un suo amore di gioventù lasciandolo solo con due figlie da crescere; la più grande, Ibi, viene sorpresa dal padre mentre fa sesso sopra un tavolo con l’inquilino del piano di sopra (a cui Hofmeester  affittava un’appartamento, ossessionato dai soldi, per poter continuare ad avere una casa enorme nella via più elegante del paese); la più piccola, Tirza (titolo originale del libro), è la sua prediletta, la Regina del Sole, che soffre di disturbi alimentari, indotti dalle troppe aspettative che il padre ha su di lei. Ibi scapperà in Francia per aprire un B&B, Tirza è l’unica che resterà con lui, la sua unica ragione di vita.
Quasi tutto il libro è incentrato sull’organizzazione e lo svolgimento della festa di diploma di Tirza, dopo la quale sarebbe partita per un giro in Africa, per poi ritornare ad Amsterdam e iniziare l’università. Tutto deve essere perfetto, tutto è calcolato a puntino: lui è un esperto maestro di cerimonie (traduzione letterale di Hofmeester).
Ma molteplici eventi mineranno il suo già labile equilibrio, fino a infrangerlo completamente. La consorte torna a casa come se niente fosse, sputandogli in faccia la loro condizione di quasi sessantenni, ormai poco attraenti, soli e inutili; Tirza arriva in ritardo alla sua festa, e accompagnata dal suo nuovo fidanzato che Hofmeester collega ineluttabilmente a Mohamed Atta (e che incolpa della perdita dei soldi che aveva investito in banca in seguito all’11 settembre). Per di più Tirza annuncia che proprio con lui partirà per l’Africa.
Gli equilibri vanno in frantumi: da qui in poi è tutta una discesa libera verso uno schianto finale. Dietro ogni parola, dietro ogni pensiero, dietro ogni azione di Hofmeester, pare celarsi la tragedia.
La presa di coscienza di essere un fallito, un uomo in stand-by, la paura di perdere anche quest’altra figlia, la prediletta, il bestiale rapporto con la moglie: tutto questo porterà al delirio conclusivo, all’epilogo di una vita sprecata. 
In questo libro s’intrecciano eros e thanatos, realtà e fantasia, salute e malattia. La scrittura di Grunberg è pesata, maledettamente iterativa, inattesa, imprevista, funesta, cinica, agghiacciante. Il libro ha smesso di strizzarmi l’occhio e a cominciato a schiaffeggiarmi; di quegli schiaffi che sanno di vita e di verità disarmanti, quelle che non vorresti mai ammettere a te stesso. 

  

2 commenti

  1. Grunberg è un genio.
    Io lo adoro.
    Sa descrivere freddamente e cinicamente la realtà, come nessun altro sa fare.
    Ha la capacità di rapirti, di buttarti dentro l'aria malsana dei suoi romanzi. E ti adatti ad essa, ti ci perdi.
    Un'introspezione psicologica sorprendente.
    Ti consiglio "Lunedì blu", il suo primo libro.

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