In questo periodo affollato della mia vita, tra ultimazione della tesi e corsi di editoria privati ho deciso, da diligente-giovanotto-da sposare quale sono, di mettermi da parte qualche rublo accettando un part-time in una sala studio della mia facoltà.
Ecco: lo sforzo psichico e fisico richiesto per questo “lavoro” è veramente irrisorio. Il mio compito è gestire una sorta di reception da cui gli studenti passano ogni mattina prendono il posto che io assegno loro e mi lasciano in cambio il tesserino universitario, con nome e cognome. Il tutto lo faccio comodamente seduto e quando la sala è al completo posso scrivere la tesi o stare su Fb. E mi pagano.
L’immagine usata è purtroppo puramente indicativa |
Dopo questa doverosa premessa cercherò di rendere l’idea dell’ambiente di lavoro.
Dopo aver accettato di dovermi svegliare ogni mattina alle 7 e 40 (quel 40 è fondamentale, credetemi!), il che per me è stato ed è un vero trauma, ho dato avvio a questa simpatica routine.
Alle 8 e 20 prendo il tram 15 che dalla mia zona arriva fino alla centralissima Piazza Fontana. Uomini e donne ingessati assumono già quell’aria nervosa e spasmodica che li accompagnerà per tutto il resto della giornata. Tutti intenti a guardare l’ora, leggere l’i-pad e armeggiare con quelle diavolerie firmate Jobs. Io col mio lettore Mp3 da 19 euro e 90 del Marco Polo express, che mi dura da tre anni ma che ormai sceglie lui le canzoni che devo ascoltare, mi dirigo come un bravo-studente-lavoratore modello all’università.
Passo dalla portineria e, se ho la fortuna di trovare una bidella che non sia andata al bar, prendo le chiavi della sala appropinquandomici.
Dopo aver accettato di dovermi svegliare ogni mattina alle 7 e 40 (quel 40 è fondamentale, credetemi!), il che per me è stato ed è un vero trauma, ho dato avvio a questa simpatica routine.
Alle 8 e 20 prendo il tram 15 che dalla mia zona arriva fino alla centralissima Piazza Fontana. Uomini e donne ingessati assumono già quell’aria nervosa e spasmodica che li accompagnerà per tutto il resto della giornata. Tutti intenti a guardare l’ora, leggere l’i-pad e armeggiare con quelle diavolerie firmate Jobs. Io col mio lettore Mp3 da 19 euro e 90 del Marco Polo express, che mi dura da tre anni ma che ormai sceglie lui le canzoni che devo ascoltare, mi dirigo come un bravo-studente-lavoratore modello all’università.
Passo dalla portineria e, se ho la fortuna di trovare una bidella che non sia andata al bar, prendo le chiavi della sala appropinquandomici.
Codesta sala è solitamente già aperta da Tizio (lo chiamerò così però non rivelare la sua identità): io devo di prassi passare comunque a prendere il secondo mazzo.
Lui è un tipo del tutto singolare. Il primo giorno ha cominciato a inveire contro questa società di merda, contro questo lavoro che gli sta atrofizzando il cervello e a sferrare una filippica contro i meridionali, pur sapendo di parlare con un calabrese.
“Rubano il lavoro, imbrogliano ai concorsi, passano davanti a noi, sono tutti ignoranti!“.
Non volendomi fare odiare sin dal primo giorno mi sono limitato a un educato: “Non si può fare di tutta l’erba un fascio!” che comunque lascia il tempo che trova! Mi sono accorto poi che in quel momento avrei potuto dire anche “Tanto va la gatta al lardo” o “Sopra la panca la capra campa“, ma andiamo con ordine.
Sta di fatto che Tizio verso le 9 e 30, massimo e 45, esce e ritorna a intervalli regolari, che possono essere di un’ora, di mezza, ma anche di un giorno. Prima di andarsene, il mio primo giorno, mi annuncia l’arrivo di un’altra impiegata in questa sala studio. Mi avvisa: “È un po’ strana, dalle sempre del lei, è una meridionale, è bruciata, non rimanerci male se ti offende!” E io penso: “Bene!”
Così lui esce a fare i suoi lavoretti extra (nel senso proprio di esterni, fuori dall’università: va alla posta, a prelevare, in farmacia) e io resto solo a fare il mio semplicissimo lavoro.
Intanto si apre la porta e varca la soglia una signora dai capelli rosso fiamma. Con una borsa sulla spalla e l’andatura leggermente inclinata, si avvicina dritta a me che da dietro il bancone-scrivania la guardo atterrito. Mi scruta attraverso i suoi grandi occhiali da sole e mi dice, porgendomi la mano: “Buongiorno sono la dottoressa Tizia!” (anche qui preserverò la privacy) mi dice con forte accento siciliano. Mi passa accanto e una scia di fortissimo profumo mi fa perdere i sensi.