Pure se era metà marzo quel giorno si era messo a nevicare, ma a loro non importava perché tanto stavano per diventare marito e moglie. Se la sposa bagnata è fortunata figurarsi quella coperta di neve. I loro anziani genitori s’inerpicarono per tempo lungo le scalinate imbiancate per raggiungere la chiesa del paese, dove le macchine non potevano arrivare. All’uscita i fiocchi si facevano più grossi e si mescolavano al riso che veniva lanciato al cielo. Tra gli applausi di amici e parenti, sotto l’ombrellino bianco di lei gli sposi si baciavano increduli di tanta bellezza.
Dodici mesi dopo, su quello stesso sagrato in cima alle scale, gli sposi reggevano tra le braccia il frutto della prima notte di nozze appena diventato figlio di Dio. I fiocchi di neve atterravano tra i loro capelli mentre sorridevano al fotografo, abbracciati ai vecchi genitori arrivati a fatica fino a lì. Gli occhi di tutti palpitavano di felicità.
Fu complicato, diciott’anni dopo, portare in spalla lassù la cassa di legno con tutta quella neve. Fuori dalla chiesa, mentre tutto il paese applaudiva, i fiocchi si mischiavano con le lacrime dello sposo, del primogenito e degli altri due figli arrivati col tempo. Per quella volta lei dovette rinunciare a godersi quel vorticare elegante sopra le loro teste. O magari era stata proprio lei a ordinarlo.
[Ho scritto questo brevissimo racconto per il progetto Instagram #ioscattotuscrivi, dopo aver selezionato la foto di Marinella Bologna. Guarda il post]