Ci siamo ricascati. È bastato che la neo ministra Teresa Bellanova andasse a giurare al Quirinale con indosso un vestito blu elettrico, perché orde di commentatori – politici, giornalisti, utenti social – si sentissero autorizzati a esprimersi su quel colore e sul corpo che lo indossava. “Balena” è stato uno dei commenti meno feroci, perché la colpa della Ministra è anche quella di non corrispondere a dei canoni di bellezza universalmente riconosciuti, ma non si sa da chi esattamente stabiliti. Infatti quando a indossare il tailleur blu elettrico era stata un’altra ministra della passata legislatura, Maria Elena Boschi, i commenti erano stati più lusinghieri (ma ugualmente non richiesti).
In meno di una settimana dalla presentazione della nuova squadra di governo un’altra neo ministra, Elena Bonetti, ha dovuto ribadire a un giornalista di voler essere giudicata per il lavoro che ha fatto finora come educatrice e professoressa universitaria, e quello che farà d’ora in poi alla guida del suo ministero, e non per un presunto piercing sulla lingua (come se poi fosse la spia di qualcosa); così come Paola De Micheli, neo ministra delle infrastrutture e dei trasporti, solo perché indossava un vestivo scollato si è sentita dare della prostituta su Facebook da un simpatizzante di quel movimento si è visto chiudere tutte le sue pagine perché “portatrici di odio”.
I commenti sul corpo delle donne si sprecano, specie per quelle che hanno una certa visibilità pubblica. Ci sono passate Laura Boldrini, paragonata a una bambola gonfiabile, Marianna Madia, perché mangiava un gelato, Maria Elena Boschi, “troppo bella per essere comunista”, Cécile Kyenge, per essere nera, Mara Carfagna, per aver fatto dei calendari, Rosy Bindi, “più bella che intelligente”, Angela Merkel, e ci siamo capiti. E ovviamente anche oltre l’ambito politico. L’altro giorno in una discussione su Twitter durante una trasmissione di La7, un’utente suggeriva a Myrta Merlino, nota giornalista della rete, di mettersi a dieta visto che la trovava più rotondetta dopo l’estate. Le parole della commentatrice non trasudavano cattiveria o insulti, stavano lì, come un dato di fatto imprescindibile, quasi dovuto. Sentirsi in diritto e in dovere di esprimersi sui corpi delle donne è lo sport preferito di una società imbevuta di patriarcato, dove ancora si fa fatica a considerare la donna fuori dal recinto della proprietà privata; una società in cui c’è sempre bisogno di qualcuno (uomini, ma anche donne) che spieghi alle donne come comportarsi, come vestirsi, come amare.