Il sole avvolge le curve della Strada statale 19 delle Calabrie, costeggiata da castagni e querce abituati al freddo della Sila Piccola. Parcheggio nella piazzetta sonnacchiosa e semi deserta di Cicala, l’aria odora di caminetto. Mi schermo gli occhi dalla luce e mi guardo intorno alla ricerca di qualcuno a cui chiedere informazioni. Scorgo una panchina, di fianco alla bacheca dei manifesti mortuari, dove due anziani silenziosi si scaldano come lucertole. Secondo l’ultimo censimento, nel paesino in provincia di Catanzaro vivono poco più di 900 persone, oltre un migliaio in meno rispetto a un secolo fa. Come in tutti i borghi interni della Calabria e di molte regioni del Sud, gli abitanti sono ormai abituati a fare i conti con chi va e non torna indietro. Chiedo agli uomini indicazioni per il Centro per le demenze ma ricevo sguardi interrogativi. Ci riprovo in dialetto, scandendo la parola Alzheimer e subito si affannano a spiegarmi la strada, indicandomi la direzione con le dita. Imbocco un vicolo e proseguo tra piccole cataste di legna da ardere e panni che sventolano dai balconi.
“Stiamo facendo l’accoglienza, vuoi anche tu tisana e biscotti?” mi dice sulla soglia Amanda Gigliotti, psicologa e responsabile del centro di Cicala, una trentina d’anni, capelli ricci e neri, una grossa sciarpa intorno al collo e un sorriso stampato sul volto. Mi ritrovo davanti a una ventina di persone sedute in cerchio, alcune con indosso il cappotto, in mezzo a una ampia sala dalle pareti tinteggiate di arancio, fucsia, e rosso. A destra due file di tavoli con le sedie, a sinistra un piccolo angolo palestra. Con un tono di voce sostenuto Amanda dice il mio nome e molti dei presenti mi danno il benvenuto. Una signora di meno di cinquant’anni si alza e viene dritta a darmi la mano. “Sei bellissimo”, esclama dopo le dovute presentazioni, e mi stampa un bacio sulla guancia. Mi siedo anch’io in cerchio perché sta per iniziare il momento del Buongiorno. Le persone intorno a me hanno tra i cinquanta e gli ottant’anni, alcuni se ne stanno per i fatti loro, altri ridono coi vicini. Un’operatrice al centro del cerchio scandisce il suo nome lentamente a voce alta, mentre rivolge a sé i pollici di entrambe le mani. Con la stessa enfasi dice “Buongiorno!”, disegnando in aria un cerchio con le mani. Poi va a prendere una signora dai capelli grigi che fa un po’ di resistenza, ma solo per farsi desiderare. Vanno insieme al centro e si presentano alla stessa maniera. Seguono applausi e inchini. Cedono il testimone a un uomo sulla settantina dallo sguardo spento che non appena arriva al centro del cerchio lascia trasparire un mezzo sorriso. “Ci ripetiamo i nostri nomi tutte le mattine, non fa niente se lo dimenticano subito dopo. Ci serve per farli percepire presenti a loro stessi” mi spiega Amanda.
Il signore seduto accanto a me le chiede quando arriva il suo amico Mimmo. Lei gli assicura che sta per arrivare, ma lui non sembra bersela. Mi guarda per cercare conferma, scuotendo i baffetti grigi, e mi racconta che lui e Mimmo hanno fatto le scuole insieme, si volevano molto bene, erano come fratelli, ma ora Mimmo di lui se ne fotte. Cerco di rassicurarlo, garantendogli che Mimmo sarà lì fra poco. Ha più o meno sessant’anni, mi dice Amanda, e faceva il direttore di banca quando è arrivata la diagnosi. Ora cinque giorni a settimana frequenta il Centro Diurno “Al.Pa.De.” di Catanzaro che ospita persone affette da demenze, Alzheimer e Parkinson. Di tanto in tanto portano gli avventori del centro del capoluogo calabrese a respirare l’aria di montagna e a fare attività con gli ospiti del centro “Andrea Doria” di Cicala, costola di quello catanzarese. Molti degli ospiti arrivano dai paesi limitrofi. Conto almeno otto operatrici e un operatore, anche se a colpo d’occhio è difficile capire chi siano, visto che non hanno camici o divise. Al centro adesso c’è un’anziana molto vispa che sostiene di avere 25 anni, non so se per gioco o perché lo crede davvero. Il direttore di banca mi tocca col gomito e mi chiede se so quando arriva Mimmo. Gli dico che probabilmente ha fatto un po’ di ritardo, ma che secondo me sta arrivando. Fortunatamente sono cresciuto con uno zio che un ritardo ce lo aveva per davvero, sin da piccolo, quindi ho una vaga idea di come proseguire la conversazione.
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