Non passa molto tempo che anche il padre si convince che abbracciare quella fede sia la scelta giusta, ma per far spazio alla religione devono rinunciare a qualcosa delle loro vite. “Piano, piano, abbandonano alcune tradizioni sinte, come le giostre per esempio. Oppure a me e a mia sorella, nati dopo la conversione, ci danno un nome solo”. I sinti, mi spiega, usano dare due nomi ai propri figli, uno sinto e uno italiano (nel caso dei Maggini), più semplice per i documenti. La più grande delle figlie si chiama Fraida Francesca, che vuol dire Gioia, mentre la seconda si chiama Raili Cristina, che significa Bella. “Io mi chiamo Noè, come quello dell’Arca e mia sorella Naomi, come la suocera di Ruth”, ride dando per scontato che io conosca tutta la genealogia postdiluviana. “Con dei nomi così non potevamo che crescere in una famiglia molto religiosa”.
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