Seduto al tavolino di un bar sulla spiaggia di Stintino, aspetto la telefonata del mio traghettatore. Una pioggia leggerissima cade sugli ombrelloni chiusi e sui turisti tedeschi che hanno scelto la fine di settembre per le loro vacanze. Fuori tempo massimo per prendere l’ultimo battello, mi basta pronunciare il nome del mio ospite per rimediare in pochi minuti un passaggio per l’Asinara. Dopo un volo in aereo e un viaggio in pullman, intorno alle cinque di pomeriggio salgo maldestramente su un gommone, fingendo disinvoltura durante la navigazione. Il viaggio dura pochi minuti ma bastano per meravigliarmi del mare smeraldo che vedo sotto di me, nonostante il cielo grigio che ci si specchia dentro. “Eccolo lì che ti aspetta”, dice il mio nocchiere indicandomi una macchina che diventa più grande man mano che ci avviciniamo. Ringrazio per la disponibilità e, con la stessa finta disinvoltura di prima, balzo sul molo di legno di Fornelli, il punto dell’isola più vicino alla Sardegna.

“Ciao, devi essere Gianmaria?” dico a un uomo abbronzato sulla sessantina che mi aspetta seduto al posto del guidatore, mentre smanetta col cellulare. “Ciao, sali! Non ti facevo così giovane”. Accetto il complimento e salgo sulla macchina elettrica del Parco dell’Asinara. Gianmaria Deriu, con l’accento sulla i, ha i capelli fini e brizzolati e indossa una camicia bianca con le maniche corte e le mostrine militari. L’uomo che mi siede di fianco ha passato gli ultimi quarant’anni della sua vita sull’isola nell’isola, di cui trentadue come ispettore superiore di polizia penitenziaria. L’Asinara la conosce a occhi chiusi, forse più della sua casa di Ittiri, il paesino in provincia di Sassari dov’è nato e dove abita la moglie, che va a trovare ogni due settimane.

“Oi, come sono stanco”, dice, “oggi non mi sono fermato un attimo” e terminata la frase, senza perdersi in convenevoli, mette in moto e inizia con una spiegazione che deve aver imparato a memoria. “Ti racconto un po’ della storia dell’isola, se per te va bene”. Come un aedo, parte dal principio, da quei pastori sardi e da quei pescatori liguri, ultimi abitanti dell’isola, che nel 1885 vengono cacciati dalla loro terra per decreto regio. Quarantacinque di quelle famiglie s’insediano sulla sponda difronte, dove fondano il borgo di Stintino da cui possono guardare ogni giorno l’isola perduta. “L’Asinara diventa un lazzaretto e una colonia penale, viene costruito un sanatorio e gli stazzi dei pastori vengono trasformati in diramazioni carcerarie”. Durante la prima guerra mondiale vengono deportati qui ventiquattromila soldati austroungarici, a cui seguono indispensabili lavori di bonifica e ampliamento. “Quando poi in Italia scoppia la stagione del terrorismo nero e rosso, i terroristi vengono trasferiti qui, a Fornelli, nel carcere di massima sicurezza voluto dal generale Dalla Chiesa”. L’edificio non è più visitabile da un paio d’anni per qualche problema strutturale, mi dice. “Da questo periodo in poi l’isola diventa una casa di reclusione vera e propria, per detenuti con pene a lungo termine e anche fine pena mai. Oltre agli stragisti ci mandano criminali dell’Anonima Sarda e poi anche detenuti comuni, i quali, non essendo sottoposti al regime di massima sicurezza possono svolgere qualsiasi lavoro, macellaio, muratore, elettricista, insomma tutte quelle figure indispensabili per fare andare avanti un microcosmo”.

Superiamo un asino sardo e un asino bianco intenti a ruminare placidamente a bordo strada. “Gli asini albini ce li abbiamo solo noi” dice fiero Gianmaria. E io penso che l’isola si chiami così per loro e invece no, è merito dei Romani che l’avevano battezzata Sinuaria, per la sua forma sinuosa ed elegante. Parcheggiamo la macchina davanti al distaccamento carcerario di Tumbarino, un gruppetto di casupole dai muri gialli e lisci che mi ricordano le case messicane, anche se io in Messico non ci sono mai stato. “Vieni, andiamo a dare un’occhiata”, mi dice Gianmaria aprendo il cancello e facendomi strada. Intorno è tutto recintato. “Qui ci stavano quei detenuti che si erano macchiati di violenze carnali o di pedofilia e che quindi non potevano stare insieme agli altri”. Adesso invece dei pedofili ci sono gli ornitologi, che osservano le migrazioni degli uccelli e ne studiano i comportamenti.

Per continuare a leggere iscriviti a Minutaglie, la mia newsletter che non va di fretta, di cui questa storia fa parte.