“Devi accoglierli alla porta con il dispenser dell’igienizzante in mano, così almeno entrano disinfettati”, mi ha avvertito la referente il giorno prima. Appoggio sulla cattedra la mia borsa di tela con solo un’agenda e una penna dentro e, mentre mi tolgo il giubbotto, osservo i banchi vuoti. Saranno una ventina, tutti singoli. Mi affaccio sul corridoio deserto e dall’altro lato una professoressa, o come dicono qui una “prof”, è ritta sulla soglia della sua aula con il dispenser in mano. Ci guardiamo con aria assente, mentre sopra le nostre teste suona la campanella.
“Buongiorno prof”, mi dicono scrutandomi con aria interrogativa mentre gli spremo il gel sulle mani. Ma più che di igienizzante, penso, questi avrebbero bisogno di deodorante, perché gli afrori della preadolescenza non guardano in faccia nessuno, anche alle 7:50 del mattino.
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Due settimane fa stavo mettendo i gerani al riparo dalle gelate a 1000 km da qui, mentre ora mi trovo a insegnare italiano, storia e geografia in una scuola media, anzi, in una scuola secondaria di primo grado. E se pensavo che la cosa più ardua fosse svegliarsi prima della nascita del sole, avevo sottovalutato quanto possa essere spiazzante insegnare storia alla prima ora. Soprattutto se la storia non la sai.
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Una delle cose bizzarre del nostro sistema scolastico è che se tu vuoi partecipare a un concorso per diventare docente di ruolo – mettiamo d’italiano – devi rispondere davanti a una commissione a una domanda pescata a caso dall’intero programma di letteratura che va, all’incirca, da Dante a Fabio Volo; oppure poniamo che il tuo sogno sia insegnare storia, possono chiederti di approfondire un episodio successo in quel breve lasso di tempo che intercorre tra il Big Bang e le dimissioni del Ministro Sangiuliano della Terza Repubblica ab Boccia condita.
Il minimo, staranno pensando i miei piccoli lettori, e io non mi sento di contraddirli. Peccato che per andare a insegnare quelle stesse materie, in quelle stesse classi di quelle stesse scuole, il Ministero possa chiamarti un giorno mentre stai spostando i tuoi fiori per ripararli dai rigori dell’inverno e informarti che hai 24 ore di tempo per farti 1000 km e andare a prendere servizio. Così è, se vi pare.
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E il fatto che tu non abbia mai insegnato nella tua vita, o che l’ultima volta che hai studiato la seconda rivoluzione industriale non avevi la barba, e che ancora dici preside invece che dirigente scolastico, o bidello, invece che collaboratore scolastico, anzi no, ora si dice commesso – Samantha in cassa due, ripeto, Samantha in cassa due – ecco, nonostante tutto ciò per il Ministero sei buono per prendere il posto di qualche collega in malattia, aspettativa o maternità per insegnare in sua vece delle cose che non è che conosci proprio a menadito.
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Così, all’alba di un giorno di metà novembre, mi ritrovai in un’aula oscura davanti a dei ragazzi di cui ignoravo i nomi, senza libri, senza registro elettronico, senza programma, solo con la mia agenda e la mia penna. E il dispenser del disinfettante, certo.
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