Popolo di santi, poeti e analfabeti funzionali
Circa 7 italiani su 10 sono analfabeti funzionali, non sono cioè capaci di usare in modo efficace le competenze di base (lettura, scrittura e calcolo) per muoversi autonomamente nella società contemporanea e comprenderla. È colpa anche dei social network?

Centocinquantacinque anni fa, all’alba dell’unificazione nazionale, in Italia un 78% della popolazione era considerata analfabeta. Il vessillo di analfabeta veniva consegnato a chi non era in grado di scrivere il proprio nome. Due guerre mondiali hanno fatto spostare di qualche centimetro la scala di riferimento: il censimento generale del 1951 infatti riserva lo status di analfabeta a chi non sa leggere e scrivere. Le stime dell’epoca si attestano intorno al 15%. Boom economico, scolarizzazione, nuove tecnologie e riforme ci traghettano vertiginosamente negli anni 2000, spostando ulteriormente l’asticella: gli analfabeti del terzo millennio sono rappresentati da quanti non posseggono alcun titolo di studio. Tra il 2001 e il 2002 il 7% dei laureati si contrappone a un ancora duro 11%, composto da analfabeti o da senza titoli di studio.

Giunti negli anni dieci del XXI secolo – anni di iper-connessione, social network, immediatezza e app – una nuova categoria entra a far parte della mole di studi e censimenti: è considerato analfabeta funzionale colui che sa scrivere e leggere, ma non sa utilizzare queste competenze per interpretare la realtà in cui vive o per trarre considerazioni personali. Le cose del mondo gli scivolano sotto gli occhi ed è in grado di comprenderle esclusivamente attraverso le implicazioni che hanno su di sé. Secondo i dati dell’Ocse 7 italiani su 10 (dai 15 ai 65 anni) non comprendono un testo letterario, un contratto d’affitto o di un’utenza domestica, una polizza assicurativa, un articolo di giornale (literacy proficiency); per non parlare dell’accesso e utilizzo d’informazioni numeriche indispensabili nella vita pratica (numeracy proficiency). Resta enorme, per completare il quadretto, lo scarto tra gli abitanti del Belpaese e gli altri cittadini europei, nell’utilizzo e nella fruizione quotidiana delle nuove tecnologie digitali o d’internet (come dimostra il tariffario per servizi basilari – come ricariche, installazioni app e trasferimento rubrica telefonica – che Mediaworld è stato costretto a esporre di recente).
Già Pasolini nel 1963 faceva dire a Orson Wells ne La ricotta che gli italiani sono un popolo di analfabeti e posseggono la borghesia più ignorante d’Europa, ma i riflettori sul fenomeno li ha riaccesi qualche settimana fa il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco affermando preoccupato che gli italiani “sanno leggere e scrivere ma non sanno vivere nella società di oggi, che richiede altre capacità di adattamento”. E il linguista Tullio De Mauro sottolinea che livelli così preoccupanti di analfabeti funzionali condizionano la produzione (quindi l’economia), la partecipazione e la vita sociale (quindi la politica) del nostro Paese.

Il terreno su cui l’analfabetismo funzionale sta trovando linfa vitale è senza dubbio lo sconfinato e insidioso mondo di internet. Il compianto Umberto Eco aveva ravvisato, pochi mesi fa, il nodo cruciale del pericolo della rete: gli utenti-analfabeti funzionali non sanno districarsi nei suoi meandri, non sono in grado di riconoscere una bufala dalla realtà, abboccano a trappole acchiappa click e diffondono a macchia d’olio questa mole sconfinata d’idiozie. Per questo, sosteneva il Professore, andrebbero istruiti sull’uso accorto del web. Che la proliferazione improvvisa d’iscritti ai social network, ma soprattutto a Facebook, sia la causa scatenante di questo tipo di analfabetismo del terzo millennio?

Articolo originale pubblicato su Wu Magazine

 

Secondo Vanessa Niri, coordinatrice pedagogica, collaboratrice di Wired.it e appassionata della tematica, più che nei social network come mezzo, la causa della diffusione dell’analfabetismo funzionale sta nei contenuti che i social e i media tutti veicolano, storicamente di una povertà culturale desolante. Facebook, secondo Niri, è piuttosto una cassa di risonanza del fenomeno e solo parzialmente la causa.
Per arginare il fenomeno bisogna intervenire sui ragazzi in età scolare, compito ancora più arduo quando i loro genitori o addirittura gli insegnanti sono a loro volta analfabeti funzionali: questi ragazzi se non seguiti “non saranno in grado di trattare con una banca, di parlare alla pari con un datore di lavoro, di rinegoziare un mutuo, di curare loro stessi o i propri figli. Saranno adulti schiavi di un sistema più grande di loro, che non saranno in grado di comprendere”. Il cane che si morde la coda.

Internet per fortuna è fecondo anche di episodi intelligenti, coma la pagina Facebook “Adotta anche tu un analfabeta funzionale”, che colleziona immagini, bufale e relativi commenti. Uno dei casi più divertenti (e allo stesso tempo più desolanti) è rappresentato dalla raffica di commenti inviperiti e razzisti a un meme fake di un tale di origine araba che vorrebbe imporre in Italia l’uso dei numeri arabi: tutti a “condividere perché indignati”, dimenticando con leggerezza millenni di storia.


[Articolo pubblicato nel numero #68 di maggio della rivista WU magazine Illustrazione di Laura Marin per Wu Magazine]

 

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