[Questa è la versione originale ed estesa dell’articolo ridotto pubblicato su Linkiesta: “Danneggia l’immagine della Calabria“, i sindaci della locride contro la programmazione di “Anime nere” su Sky]

Quello che accade al Sud, in questo caso in Calabria, ha spesso qualcosa di molto vicino al teatro dell’assurdo.

Più o meno un anno fa, alla 71° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, il film di Francesco MunziAnime Nere”, tratto dall’omonimo romanzo di Gioacchino Criaco, è stato scelto nella rosa dei quattro film italiani in concorso. Dopo di che è sbarcato al Toronto Film Festival, ha fatto incetta di premi a destra e a sinistra (tra cui 9 David di Donatello), è stato tradotto il 19 Paesi, accolto da una plaudente stampa internazionale. 
Il libro è stato addirittura pubblicato nel 2008, dalla calabrese Rubbettino. Ma ora, in seguito alla decisione di Sky d’inserire il film di Munzi a rotazione nella propria programmazione, alcuni sindaci della Locride (in cui è ambientata la storia) hanno ritenuto inaccettabile questa decisione che, a loro dire, danneggia gravemente l’immagine di un’intera regione. 
Anime nere, per chi non lo sapesse, racconta la ‘ndrangheta senza retorica né sconti ad alcuno. E lo fa dall’interno di una famiglia malavitosa, mettendo in risalto le tragiche dinamiche parentali. Intervistati da Klaus Davi, tre sindaci della locride hanno fatto sapere di non aver gradito la decisione di Sky. A oltre un anno dall’uscita del film, a oltre sette da quella del libro. La potenza del piccolo schermo? 
Per tutta la durata dell’intervista Davi pare voler cavare di bocca le accuse ai tre primi cittadini, forse, ingenuamente, credendo di rendere un servizio alle comunità della Locride, ma dimostrando in più passaggi di non conoscere a fondo i temi di cui sta parlando. Seppur mai perentorie, le affermazioni uscite dalle bocche dei sindaci lasciano poco spazio all’immaginazione.
Apre le danze il primo cittadino di Locri, Giovanni Calabrese, visibilmente piccato. Di Anime nere parla come di «un servizio pessimo alla Calabria e ai calabresi, perché descrive una situazione fuori dalla realtà creando un danno d’immagine a un’intera regione. Questo film descrive situazioni di degrado morale oggi non più reali. Non sto dicendo che la mafia non esiste, ma queste descrizioni ci rendono ancora più difficile uscire dalla nostra situazione». Gli fa eco il sindaco del microscopico comune di Staiti, Antonio Domenico Principato, che afferma: «Gli uomini della malavita organizzata sono una sparuta minoranza, il film dà un’immagine troppo nera della Calabria. Io faccio il sindaco da tre anni e non ho mai avuto nessun problema. Inoltre i pastori non sono quelli descritti nel film, che tengono le capre allo stato brado, ma lavorano anche con tecnologie avanzate. Non escludiamo una diffida nei confronti di Sky».
Più pacato appare invece Giuseppe Strangio, sindaco di Sant’Agata del Bianco e Presidente dell’Associazione dei Comuni della Locride: «Già il libro mi era sembrato molto greve come denuncia sociale, il film lascia parecchio sgomenti per la durezza delle immagini. Andare in giro e sentirsi etichettati come ‘ndranghetisti, criminali e trafficanti di droga non è una bella cosa. Sky dovrebbe mandare anche altri messaggi, dando voce a tutte le nostre attività legate alla legalità per esempio. Il rischio è che si cada nel banale, riducendo la Calabria a solo quello che si vede nel film». 
Appare evidente, anche a chi non avesse seguito l’intera vicenda di Anime nere dagli esordi, la banalità di questa intervista. Il gioco del “noi non siamo così” non porta da nessuna parte. Il film intanto è il primo – e anche su questo la Calabria è incredibilmente in ritardo – a parlare apertamente della ndrangheta. E lo fa dal suo interno. 
Come ha ribattuto Carlo Freccero, esperto di TV e comunicazione (e dall’estate scorsa Consigliere d’Amministrazione RAI) durante la conferenza su tv e informazione organizzata nell’ambito del Tropea Festival Leggere & Scrivere, «affermare che Anime nere non debba essere programmato perché lede l’immagine della Calabria è assolutamente sbagliato. Guardiamo agli Stati Uniti, dove ormai il pensiero critico passa soprattutto attraverso fiction e cinema. Serie tv come Breaking Bad e House of cards rappresentano una presa di coscienza collettiva su fenomeni importanti. Allo stesso modo in Italia, la serie tv La Piovra, negli anni ’80 e ’90 ha consentito agli italiani di comprendere cosa fosse la mafia più di quanto abbiano fatto le inchieste giudiziarie».
Con questi intenti Criaco e Munzi hanno portato avanti le loro opere, come una fotografia truce ma reale di una parte di Calabria, quella capace di trascinare con sé quanto c’è di buono in quella regione. Grande infatti è stata la rabbia nell’apprendere che in Spagna il film è stato tradotto, per l’appunto, “Calabria”. Ma questo non deve servire né a fare cantar vittoria a Davi, né a nutrire lo stuolo di quanti rifiutano gli stereotipi che Anime nere, a loro dire, alimenta (come tenne a sottolineare un allora assessore regionale della giunta dimissionaria per attività poco lecite del suo presidente). 
A queste sterili e inutili polemiche, bisogna rispondere con intelligenza e cultura. Come fa Gioacchino Criaco, il calabrese padre di Anime nere, ora in giro per la sua terra per promuovere il suo nuovo libro, “Il saltozoppo” (Feltrinelli). Ancora una storia criminale, una favola nera che narra l’amore impossibile tra un Romeo e una Giulietta di due malavitose famiglie rivali. Ma Criaco, che si sta ormai imponendo con autorevolezza tra i narratori contemporanei, narra la ndrangheta con la perizia del sociologo, la saggezza dell’antropologo e i toni del poeta tragico, cercando di scovare sempre le origini di quel male. Perché è partendo dalla comprensione che si può arginare il fenomeno mafioso, e non con le prese di distanza. E la ndrangheta è ancora troppo sconosciuta e c’è bisogno di Criaco, Munzi e altri Anime nere che ce la raccontino a fondo.

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