E ci risiamo. Ne parlavo nel lontano settembre 2013 nel post Boldrini, linguistica e Velini: analisi semiseria del sessismo in Italia, ma ad oggi la situazione non è affatto cambiata.
Avrete tutti letto la lettera che LA Presidente Boldrini ha inviato ai deputati e alle deputate, invitandoli a sforzarsi di utilizzare incarichi e ruoli politici declinati anche al femminile.
#NonSiamoCosì Ecco la lettera che ho inviato a deputate e deputati sul rispetto identità di genere nel linguaggio (s) pic.twitter.com/rPPdUinSOC
— laura boldrini (@lauraboldrini) 5 Marzo 2015
Sono piovute centinaia d’insulti e critiche. Oltre che a qualche sprazzo di “benaltrismo”, come quello della Ex Ministra delle Pari Opportunità (e questo la dice lunga!) Carfagna, che ha invitato la Presidente della Camera a occuparsi delle emergenze del Paese. Un ritornello ormai ripetuto ad libitum.
Non c’è niente da dire nè da discutere: questa è un’emergenza del Paese, sociale e culturale.
Wittgenstein nel Tractatus affermava che la logica rappresenta la struttura del linguaggio e il linguaggio descrive la realtà: “Le proposizioni della logica descrivono l’armatura del mondo, o piuttosto, la rappresentano” (6.124). Tradotto: tutto ciò che riesco a percepire accade in virtù del fatto che posso descriverlo con il linguaggio. E tutto ciò che posso esprimere a parole, automaticamente esiste.
Per cui basterebbe cominciare a introdurre i mestieri declinati al femminile e questi inizierebbero a esistere, perché di fatto esistono già. Il continuare a far finta di niente, utilizzando il genere maschile indistintamente è soltanto un retaggio culturale maschilista. E il non voler cambiare punto di vista è solo un’ennesima dimostrazione del fatto che questo retaggio ci sta bene.
Perché non ci deve stare bene che una donna possa fare la ministra o la presidente o la direttrice di un giornale o la notaia? No, la cacofonia non c’entra niente, perché la cuoca, la contadina e l’infermiera ci piacciono. E nessuno si è mai sognato di dire che queste parole suonano male.
Come tutte le questioni dei diritti, perché di questo si tratta, far sì che tutti abbiano gli stessi non toglie niente a chi quei diritti li possiede già. Quindi non c’è niente da temere. Per cui facciamo un bel regalo alle donne, invece di sradicar mimose: sforziamoci di usare i femminili per i mestieri, togliamo il “la” dai cognomi delle donne e aggiungiamo il nome proprio (se proprio dobbiamo differenziarli da quelli degli uomini). La pratica, è risaputo, fa la norma. Seppur in questo caso la norma linguistica è stata già messa per iscritto dalla Crusca, ma non viene rispettata.
Per approfondire l’ultima crociata di Laura Boldrini potete leggere questo.